sabato 7 febbraio 2015

L'informatore (ancora)

Ispirato da Stefano (vedi post L'informatore) ho narrato un collage di mia realtà. Non è aulico affatto ma è ciò che succede davvero.
Robo

Sono trafelato. É tardi. Devo vedere questo medico poi ne ho un'altro a Cesena, poi una prenotazione "imperdibile" a Savignano, poi se ce la faccio mi fiondo a Forlì, poi... poi...
Entro. Saluto: "Buongiorno". Lo dico sempre, mi fa sentire più a posto essere formalmente cortese. "Uufh, eccone un altro..." una persona presente non riesce a trattenere il disappunto.
Io mi avvio verso il libercolo delle prenotazioni, lo afferro e lo stacco delicatamente dal braccio dell'attaccapanni cui è appeso tramite uno spago; poi vado a sedermi.

Mentre sfoglio lo faccio con gesti ampi, tengo la penna alzata per dare una qual certa solennità al mio fare, come per calcare sul fatto che sono lì in virtù di un diritto regolato, cosa vera peraltro. In caso di contestazioni sono pronto ad addurre le ragioni dell'ufficialità: "sono regolarmente prenotato secondo le regole sancite dal SUO medico".
Stavolta mi pare non ce ne sarà bisogno: "strano", penso, "di solito questo è un ambulatorio rognoso".

Una signora anziana mi guarda come se fossi il suo nipotino, io le abbozzo in cambio un sorriso; questa non mi creerà problemi. Poi ci sono dei ragazzi che parlano di qualcosa, anche questi non mi faranno storie. Gli altri vedremo.
Esce un paziente, fa per alzarsi il successivo ed io sto per contare "meno uno"; qui si passa ogni due. Solo che si sente una voce che dice: "mio figlio ha la febbre. É un'urgenza. Ho telefonato ed il dottore mi ha detto di venire che entravo subito". Si leva un brusio di disapprovazione. Ma "Il dottore ha detto" e "mio figlio ha la febbre" sono due argomentazioni che messe assieme forzano qualunque opposizione degli astanti.
La mamma entra, il figlio é più alto di me, un giuggiolone silenzioso che non pare molto sofferente, ma tant'é. "Meno zero", penso, "questi mi tocca non tenerli in conto".
Una decina di minuti ed escono. Si rialza e si avvia quello che, per diritto di fila, doveva entrare prima, poi dopo un quarto d'ora esce anche lui.

Il paziente successivo si rizza in piedi e va verso la porta, poi la chiude dietro di sé. Quasi all'unisono con questa scena io pronuncio la formula: "Scusate. Sono un informatore e passo ogni due pazienti. Dopo quello appena entrato vi rubo qualche minuto".
Un attimo di silenzio poi si sente una voce da un angolo. É quella di un tizio, né giovane né anziano, che non ha mai alzato gli occhi da quando sono arrivato in ambulatorio: "Eh! Adesso passano tutti! Venite qua e volete passare tutti avanti".
"Mi scusi, tutti chi? Io sono uno dei due informatori prenotati, le regole del nostro accesso sono scritte sul libro delle prenotazioni" (ecco mi tocca dirlo) "decise dal SUO medico".
Un altro momento di silenzio poi ex occhi bassi riparte, stavolta più rabbioso: "E lo so avete sempre ragione voi". Faccio l'errore drammatico di voler spiegare a chi non vuol sentir ragioni, eppure dovrei aver imparato che contro i muri di gomma si rimbalza e basta. "No. Non è che ho sempre ragione. Ho ragione in questo caso. Se fossi senza prenotazione e lei mi contestasse sarebbe nel giusto. Ma in questo caso io esercito un diritto. Non è certo una legge dello stato, infatti non ho contato la signora col bambino, ma adesso sta a me".
"Anch'io ho diritto di passare", mi risponde, "sono un invalido e potrei passare ma non lo faccio".
Cerco di scavare nella mia civiltà e dico: "se sta a lei adesso la faccio passare". "No io sono dopo quel signore là, ne ho ancora quattro davanti", dice lui.
Ora comincio ad irritarmi: "mi scusi ma allora io dovrei aspettare cinque persone in più per far passar lei? Se ritiene di dover esercitare un suo diritto vada subito ed io entro dopo di lei, se agli altri va bene". Subito parte parte un vocìo confuso che, poco dopo, si concretizza nel "No no, me a ne faz pasé! Lò l'aspeta e su turan!" di un anziano.
"Allora vado io", affermo sulla strada per incazz-city. Lui tace, penso che abbia desistito ma gioca un'ultima carta: "É inutile che ci metta contro. Adesso la metto a posto io. Appena esce quello che é dentro chiediamo al medico".
Questa cosa mi fa arrabbiare come una pantera; vorrei mangiarlo, ma, nello stesso tempo, sono in difficoltà, perché non voglio creare problemi al  mio dottore, ma se cedo adesso non entro più. "Chieda, chieda", rispondo.
Sto stronzo, invalido civile forse, ma sempre stronzo si alza e quando esce il paziente si affaccia e dice: "C'è un rappresentante che vuole passarci davanti".
Tremo.
Il dottore risponde: "Quanti ne ha fatti passare?". Io urlo da seduto: "Tre! Ne ho fatti passare tre con l'urgenza". Il dottore dice: "Allora sta a lui". Mi alzo e mentre incrocio il tizio vorrei fargli il segno dell'ombrello, ma lo immagino soltanto.
Cerco di fare un wash out di tutta la tensione che mi sono stupidamente gettato addosso e varco la soglia. "Permesso".

1 commento:

  1. Poi uno si chiede perché Morrissey, alla domanda "come passa il tempo?" una volta abbia risposto "cerco nuovi modi per non incontrare gente".

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