mercoledì 16 marzo 2016

IL WUXIA (e l'arte della manutenzione della fantasia)

PARTE PRIMA (la storia)
 
                        "Il genere umano non puo' sopportare troppa realta'"
                                                                 T.S.Eliot 
                                                                                                                            
Le dame, i cavalier, l'arme e gli amori.. 
Esiste un fil rouge che attraversa le culture popolari di tutto il mondo e collega in un  abbraccio globalizzato miti e leggende dalle piu' disparate origini.
Sono gli eroi senza macchia e senza esitazioni protagonisti di mille novelle, simboli  di inarrivabile perfezione etica e fisica (in fondo i progenitori dei moderni supereroi),  la personificazione della purezza e del coraggio al di la di ogni ragionevole dubbio, veri  e propri punti di riferimento per l'immaginario collettivo, per ogni eta', area geografica o  livello culturale.
Il bimbo cerca di emulare (e' nella sua natura), mentre l'adulto si accontenta di fragili  letture, piccole oasi di sereno abbandono, distanti dalle monotone abitudini del vivere  quotidiano.
Armature scintillanti e spade di fuoco, imprese epiche e sfide impossibili. tutto quello  che nel tempo ha dato origine al prolifico e redditizio filone del fantasy.
Questi alcuni degli storici protagonisti:
Cu Chulainn dalla verde Irlanda, figlio di dei e difensore della propria terra;
Beowful,  eroe nordico protagonista di uno dei piu' antichi poemi in prosa della storia, celebrato  in molteplici film, romanzi e fumetti, insieme alla sua nemesi, il mostro Grendel;
il paladino di Francia Orlando;
Gilgamesh eroe mesopotamico;
El Cid Campeador, terrore dei mori e patriota leggendario;
il sovrano inglese Artu',  con la sua poliedrica corte di amori scellerati e lotte fratricide.
Alcuni di loro, fortemente radicati nella cultura cattolica del proprio tempo, ne diventano vere e proprie incarnazioni nella millenaria lotta contro l'infedele, e le loro imprese sono spesso cariche di  simbolismi religiosi (ancor oggi ad il Santo Graal e' oggetto inafferrabile, sacro e misterioso).

Questo filo rosso (rosso come il sangue, come il coraggio), attraversa il mondo  aristocratico europeo (pieno di racconti di nobili eroi assetati di sangue di drago,  re e regine, principi e principesse), fino ad arrivare in estremo oriente, dove il  racconto epico, si dipana in ambientazioni decisamente piu' popolari e vicine al lettore  medio a cui si rivolge. Il cavaliere errante si toglie l'armatura, e indossa una piu' pratica veste di tessuto: e'  la figura del guerriero solitario, del monaco asceta, del discepolo di arti marziali.
 I protagonisti delle novelle wuxia che ne raccontano le gesta, nascono e crescono in ambiente  popolare (invece in occidente il villano e' piu' spesso celebrato per le sue doti intellettive, piuttosto che fisiche o morali).
La loro eccezionalità e' la diretta conseguenza di anni di duro  apprendimento delle arti marziali (che erano originariamente confinate nei monasteri  come pratica per la ricerca di equilibrio interiore), o dell'essere riusciti tramite la  meditazione a padroneggiare il proprio "qi" od energia interna, tanto da usarla come arma.
E' spesso piu' una faccenda spirituale che fisica.
Tanto che alcuni di loro, alla fine del loro percorso iniziatico trascendono ogni  dimensione umana, fino a diventare figure semi divine, i cosiddetti Immortali della  tradizione taoista.
 Nulla di magico percio', nulla che nasca al di fuori della sfera umana, trasmettendo  il messaggio che ognuno di noi puo' diventare un eroe, senza avere obbligatoriamente   nobili origini, fortunosi incontri con talismani dagli immensi poteri, o, piu'  recentemente, essere trasformati dall'esposizione a materiali radioattivi.
Un tocco di wuxia
Wu-xia e' l'unione di due parole "wu" che significa marziale, militare, e "xia" che puo'  essere tradotto come cavaliere errante.
In realta' i protagonisti dei wuxia, raramente usano mezzi di trasporto  che non
siano le proprie gambe (d'altronde visto che all'occorrenza possono anche volare, non ne hanno un particolare bisogno), e sopperiscono alle proprie ristrettezze  economiche con una grande e ricca forza interiore.
Fenomeno culturale nato in Cina durante il periodo degli stati combattenti  (dal 453 al 221 a.c.), inizialmente solo in ambito letterario  (il cosiddetto wuxia xiaoshuo), coinvolgendo poi ogni forma di intrattenimento popolare,  fino ad arrivare alla sua consacrazione definitiva come fenomeno di massa verso la meta'  del secolo scorso, con il filone cinematografico delle pellicole wuxia pian. In ogni sua manifestazione il wuxia fonde perfettamente due aspetti drammaturgici del  componimento epico : l'epopea gloriosa del romanzo cavalleresco, e la tragedia catartica  del dramma elisabettiano.

Non fermiamoci alle apparenze : il wuxia per la Cina (esattamente come le storie dei  samurai per il Giappone) e' una faccenda dannatamente seria, che, al di la dell'esaltazione  e della spettacolarizzazione della fisicita' dei combattimenti, tratta piu' profondamente  dei valori imprescindibili della societa' cinese : onore, rispetto, lealta', sacrificio.
I pilastri fondanti della cultura confuciana (per il suo aspetto sociologico), e taoista  (per quello spirituale).

L'eroe incarna il concetto di rettitudine (rappresentata dalla parola "Yi"), e ne diventa  la rappresentazione più' concreta.
Spesso di umili origini (a differenza del Giappone, dove l'uso della spada era ad  appannaggio esclusivo dei samurai, in Cina chiunque poteva tenerne una), si oppone al  governo corrotto ed ai suoi funzionari (una frequente realta' per la Cina di quel periodo),  come ad esempio l'eunuco di corte con tutta la sua carica di ambiguità morale e sessuale,  per vendicare i torti subiti, anche a costo della vita.
Racconti con una forte componente educativa e morale, dove il nucleo pulsante e'  la ricerca (della vendetta, della sacra spada), il viaggio, spesso piu' interiore che effettivo, sublimato dall'estremo  sacrificio dell'eroe, in un raggiungimento della propria realizzazione (spirituale e morale), anche attraverso sangue e dolore.
Un vero e proprio percorso iniziatico.
Il genere wuxia prende origine da una forma di letteratura in voga durante la  dinastia Tang, e cioe' piccoli racconti popolari intrisi di elementi soprannaturali  con una morale finale (un po' le nostre favole) denominati chuanqi,  da cui nascono  alcune varianti come il gong 'an (dectective story, che hanno il loro esempio piu'  famoso dei casi del Giudice Dee), gli yinzi'er (racconti fantastici, ai confini della  realta'), e i tie qi'er (le avventure dei cavalieri erranti).
Durante gli anni venti venne duramente osteggiato dal governo perche' esaltava la 
violenza e l'individualismo, tradendo gli ideali confuciani di unita' e collettivismo  sociale  (spesso infatti l'eroe compie la sua impresa da solo contro tutti), ma riprese  vigore dopo la fine della seconda guerra mondiale, merito soprattutto, negli gli anni  cinquanta, dell'opera di  Jin Yong (suo e' l'unico romanzo del genere tradotto  in Italia : "La volpe volante della montagna innevata", insieme al classico " I briganti",  splendidamente riadattato a fumetti da Magnus).
Ma e' con il cinema che il genere wuxia ha avuto la sua diffusione maggiore.

Si va in scena 
Il cinema cinese fin dai suoi esordi dichiara apertamente la sua stretta parentela con  la rappresentazione teatrale e con la sua versione piu' arcaica e popolare : il "Teatro  delle Ombre" (non e' percio' un caso se gli ideogrammi che definiscono il concetto di film  si possono tradurre con "Spettacolo di ombre elettriche").
Ne mutua perfettamente alcune caratteristiche, come la forte caratterizzazione dei  personaggi tramite trucchi pesanti al limite del caricaturale (barbe e capelli lunghissimi,  sguardo truce e scoppi di risa come tuoni), e la netta definizione dei loro ruoli e  sentimenti attraverso specifici abbigliamenti e colori che li identificano, sia nelle opere più intimiste  che in quelle di puro intrattenimento.
Il wuxia finisce per estremizzare queste peculiarita' espressive, facilitato in cio'  dalla sua dichiarata origine fantastica.

E come ogni opera teatrale popolare (ad esempio la nostra commedia dell'arte),  non rinuncia a rappresentare anche l'aspetto buffo e grottesco della realta',   tramite personaggi fortemente tipizzati (il grasso, il brutto)  e situazioni paradossali   da slapstick comedy.
Il cinema wuxia (pian) nasce nel 1928 con l'opera "Il rogo del monastero del loto rosso",  di cui si e' persa ogni traccia, a cui seguirono anni di grande successo popolare.
La sua controparte giapponese e' il chambara, films sulla vita e le imprese dei samurai,  più fedele ad una loro rappresentazione storica, e  praticamente privo di elementi  soprannaturali.
I due generi crescono parallelamente, ed hanno molti punti di contatto, soprattutto per i valori di fondo a cui  si attengono,  e per l'intensa drammaticita' da teatro elisabettiano con cui li esaltano.
Ma mentre Il wuxia tende a stemperare i toni, il chambara  li esalta, evidenziando il  suo forte legame con la commedia shakespeariana.
Akira Kurosawa ad esempio, che di questo genere cinematografico e' forse l'esponente piu' famoso ed importante, le ha spesso  rivisitate  nelle sue opere come ad esempio "Il trono di sangue" tratto dal "Macbeth",  oppure "Ran" che si ispira al "Re Lear").

Il wuxia pian raggiunse il suo pieno sviluppo durante gli anni cinquanta, quando fu  cooptato dalla piu' grande societa' cinematografica del periodo, la Shaw Brothers di  Hong Kong, che ne fece, insieme al suo parente piu' stretto il gong fu pian (da cui si  distingue unicamente per l'utlizzo dei combattimenti a mani nude al posto di quelli   con armi bianche), i suoi generi di punta.
La Rivoluzione Popolare di Mao, nonostante la supposta apertura democratica della  iniziativa dei "cento fiori" (l'invito ad ampi e liberi dibattiti culturali tra gli  intellettuali dell'epoca che pero' aveva l'unico scopo di schedarli e deportarli),  fu un periodo di forte ostracismo per ogni libera forma di manifestazione artistica,  cinema compreso.
Hong Kong (allora colonia inglese), divenne di conseguenza un vero proprio porto  franco per registi ed attori cinesi, in cui rifugiarsi per avere liberta' di espressione, e la sua industria cinematografica un importante punto di raccordo tra la cultura orientale e  quella occidentale, dove fondere mirabilmente due diversi modi di concepire la vita e  l'arte, anche in un contesto di puro intrattenimento.

Nel cinema wuxia esistono tre fasi ben distinte, distinguibili, non tanto per i loro  contenuti, ma per la  ricerca stilistica, tecniche di ripresa e espressivita'  (questioni fondamentali per un cinema basato piu' sulla spettacolarita' che sui dialoghi).
Il primo periodo grosso modo va dagli anni cinquanta ai settanta.
 Prevale un uso classico della macchina da presa, con pochi movimenti e campi lunghi  entro cui integrare le scene di combattimento in coreografie perfette come fossero  esibizioni teatrali.

Uno dei piu' prolifici e significativi registi di questo periodo, e' Zhang Che, autore  di opere come la saga dello spadaccino monco ("One armed swordsman" -1967- con Jimmy Wang Yu, che ha il suo  clone nel filone gong fu con "One armed boxer" -1972-), la cui estetica della violenza  verra' proseguita  ed estremizzata dal suo aiuto regista, quel John Woo che si  specializzerà' poi durante gli anni ottanta, nei gangster movie con bagno di sangue  finale
(i cosiddetti heroic bloodshed movie).
Il tema dell'eroe che, dopo essere stato offeso nella sua virilità (in questo caso  il braccio che impugna la spada), ritrova orgoglio e dignità e si vendica del torto  subito, ha illustri epigoni, tra cui il nostro "Django" di Sergio Corbucci.
D'altronde mettere il protagonista in una situazione critica da cui potra' uscire solo dopo un duro periodo di ri-apprendimento, e' un efficace espediente narrativo che permette anche di sottolineare il concetto che la strada per la realizzazione (il Tao), e' impervia e dolorosa, ma proprio per questo enormemente appagante.
Questo flusso bidirezionale di idee e stimoli visivi tra oriente ed occidente, che l'industria cinematografica giapponese ha molto spesso praticato, diventa un gioco di rimandi in cui e' spesso difficile distinguere  chi si e' ispirato a chi.
In alcuni casi lo scambio di idee e spunti (soprattutto con il western americano, con cui condivide ambientazioni e situazioni), e' palese.
"I magnifici sette" ad esempio,  e' un rifacimento dei "Sette samurai" di Kurosawa,  e
"Per un pugno di dollari" si rifa' palesemente a "Yojimbo"  del medesimo autore.
Ma soprattutto durante quegli anni, nell'ambito wuxia, si vedono gli esordi di un vero gigante del genere : quel Hu Jinquan che la storia del cinema conosce con il soprannome di King Hu.
Il re
Se Jack Kirby e' considerato il re dei comics, e Osamu Tezuka il dio dei manga (i giapponesi devono sempre esagerare), King Hu e' l'incontrastato imperatore del genere  wuxia pian, o almeno quello che in maniera piu' significativa, lo ha rivoluzionato.
Il suo linguaggio raffinato, e la sua estetica da danza classica, trovano un miracoloso  equilibrio con le rigide regole dello spettacolo di intrattenimento, e solo chi ha una  visione ampia della materia cinematografica come un Kurosawa, o un Kubrik, poteva riuscire  a realizzare.
E' proprio dall'opera di Kurosawa che egli trasse la maggior ispirazione,  mixando abilmente i tempi lunghi di un cinema piu' introspettivo e realista  con le rapide  carrellate di quello d'azione. "Golden Swallow" -1968-("Le implacabili lame di rondine d'oro", nella affascinante e poetica  traduzione italiana), "Dragon Inn" (1967), ma soprattutto "A touch of zen" (1969), sono state  opere seminali, che pur rimanendo nell'ambito del cinema di genere, ne hanno alzato  l'asticella della qualita', donandogli dignita' artistica.
E' stato anche il primo a porre un'eroina al centro della storia, ruolo fino ad allora  esclusivamente maschile.
Da quel momento in poi, l'industria cinematografica cinese riservo' alle interpreti femminili  ruoli di primissimo piano, dimostrando un'apertura mentale per nulla scontata.
In una manciata di films, insieme al suo coreografo di fiducia Han Ying-chieh, ha  lasciato tracce indelebili nella storia del genere e nel cinema in generale, segnando  il passaggio artistico e formale, tra il primo periodo classico e quello successivo piu'  innovativo,  e tracciando rotte precise su cui poi hanno navigato molti altri registi,  orientali ed occidentali.
Gli spadaccini volanti
Dai settanta ai novanta infatti, si assiste ad una e vera propria svolta programmatica: un montaggio frenetico, virtuosismi di ripresa con inquadrature diagonali e dal basso  verso l'alto, veloci zoommate, luci e colori sapientemente utilizzati, e trucchi meccanici  con l'utilizzo di fili e carrucole (i cosiddetti "wireworks"),  contribuiscono ad  amplificare l'aspetto fantastico dei film wuxia.
Finalmente i personaggi volano, liberi di compiere l'impossibile.
Contemporaneamente ci si affida sempre di piu' alle coreografie, reclutando esperti di  arti marziali, che spesso diventano autori completi.
Nonostante le situazioni fantastiche in cui si muovono i protagonisti, ogni loro movimento e' studiato fin nei minimi dettagli, per creare una perfetta situazione scenografica.
Ching siu tung con il suo "Duel to the death" (1982), firma un'autentica  pietra miliare, in cui utilizza una delle tematiche spesso ricorrenti nei wuxia pian,  cioe' lo scontro culturale, ideologico (e fisico) tra Cina e Giappone.
Tsui Hark, e' forse la figura piu' importante ed eclettica del cinema di Hong Kong,  nelle molteplici vesti di regista, sceneggiatore e produttore.
Il suo il mistico "Zu warriors from magic mountain" (1983) narra  le lotte tra gli  Immortali tra le vette delle montagne sacre, e spinge l'acceleratore sui toni grotteschi,  con un proliferare di ciglia assassine e mani che sputano raggi multicolori.
"Swordsman" (1990), si puo' considerare un vero e proprio punto di raccordo tra le due  fasi artistiche del wuxia pian : creato e concepito da King Hu ma realizzato e prodotto da  Tsui Hark, e' un condensato di tutti i cliche' del genere, come l'eroina travestita da  uomo, vero topoi della cinematografia cinese, la rappresentazione, in fondo, dell'eterno  dualismo tra yin e yang.
"New dragon gate inn" (1991), il rifacimento del film di King Hu, esalta la  rappresentazione teatrale, racchiudendo la trama tra le quattro mura di una stazione di  posta nel deserto.
Macchinazioni, segreti,  doppie identita',  sullo sfondo di una tempesta  di sabbia imminente (Tarantino vi attinge a piene mani per il suo "Hateful eight").
L'attrazione fatale di Amore e Morte nei due capolavori del genere : "Green Snake"(1993)  con la bellissima Maggie Cheung, tratta del turbolento rapporto tra una affascinante mutaforma ed uno sprovveduto studente;  Bride with white hair" (1993) con Brigitte Lin, e' la  tragica storia di una incantevole strega che rinuncia al male in un estremo sacrificio  amoroso.
Questo incontro/scontro tra il mondo terreno e quello soprannaturale, ha il suo apogeo in  "Storie di fantasmi cinesi" (1987), dove scenografie fatte di blu accecanti e luci come in un  proscenio infernale, evocano perfettamente le atmosfere ultraterrene in cui inserire i  combattimenti tra cacciatori di demoni.
Queste tecniche visive, insieme alle riprese in soggettiva delle striscianti entita'  spettrali che rincorrono i protagonisti, sono state riprese da Sam Raimi in "Evil dead".
Come si vede in questa rapida carrellata, gli spunti originali su cui molti maestri  contemporanei del fantastico hanno costruito il proprio stile, sono molteplici.
Senza il wuxia pian non ci sarebbero state le danze al rallentatore di "Matrix"  (il suo coreografo, Yue Woo-Ping, e' lo stesso de "La tigre e il dragone"), o  le corse sui muri di "Prince of Persia", i combattimenti con le spade laser di "Guerre Stellari", ed ovviamente tutta la saga tarantiniana di "Kill Bill".
L'ultimo duello
Durante gli anni novanta nella cinematografia di Hong Kong si assiste ad un vero e proprio  passaggio di consegne tra il filone wuxia ed il gangster movie, di cui John Woo ed il suo  "A better tomorrow" (1986), era stato a suo tempo un vero e proprio manifesto programmatico.
Pur mantenendo inalterate le tematiche e lo spirito originario (l'eroe da solo contro  tutti, il sacrificio in nome dei propri ideali, vendetta e riscatto nel bagno di sangue  finale), il genere si aggiornava esteticamente ai nostri tempi, per accontentare un  pubblico sempre piu' abituato al cinema d'azione americano.
Il wuxia pian lentamente sparisce dalle scene lasciando spazio a prodotti  piu' commercializzabili.
"Ashes of time" (1994) di Wong Kar Wai, rimane una piccola gemma in quest'atmosfera da  prepensionamento.
Prodotto difficile, indecifrabile ed etereo, in cui il genere wuxia viene usato dall'autore per esprimere la propria poetica, ebbe una esistenza travagliata, mal  distribuito e molto rimaneggiato nelle versioni successive.
Oltre ai suoi meriti artistici, e' importante perche' segno' l'inizio della marcia di  avvicinamento a questo genere da parte di autori con ben piu' nobili curricula degli umili artigiani che lo avevano gestito fino ad allora.
Ang Lee, infatti, con il suo "Crouching tiger, hidden dragon" (2000), inaugura la terza fase del wuxia pian,  che coincide con il suo rilancio commerciale, e la sua grande diffusione nel mondo  occidentale.
La sua abilita' nel tratteggiare la  psicologia dei personaggi, dono' a quelli che fino ad allora erano sempre state niente di piu' che piccole colorate figurine, mere personificazioni di ben piu' alti valori universali, una maggiore profondita' e realismo, permettendo anche ad un pubblico piu' esigente, di  avvicinarvisi senza timore.
Io assistetti ad una delle sue prime proiezioni in un cinema milanese, e ricordo che  l'enfatizzazione dei sentimenti e dei comportamenti dei personaggi, insieme alle loro  impossibili acrobazie aeree, lasciarono il pubblico (che non era certo  quello dei cinema parrocchiali in cui un tempo si proiettavano i films di Bruce Lee),  inizialmente interdetto, al limite dello scherno.
Ma era solo questione di tempo, perche' anche un pubblico culturalmente lontano da questo mondo, si facesse affascinare.
Merito anche di personaggi come Quentin Tarantino, perennemente sopra le righe, ma con un grosso seguito di pubblico, che si esposero con profonda convinzione per ratificarne la qualita'.
Tutto cio', e qualche passaggio in festival blasonati, ed il gioco era fatto.

Dopo Ang Lee molti altri autori cinesi percorsero la via del wuxia, forse per puro  divertimento, sfida, emulazione, o semplice riscoperta delle proprie radici culturali, e di un modo di fare cinema piu' semplice ed immediato.
Per noi forse sarebbe strano come se Bertolucci decidesse di girare un cinepanettone, ma per loro fu un passaggio naturale, quasi obbligato.
Sta di fatto che ormai la pietra era stata lanciata nello stagno, e stava generando onde  lunghe e persistenti.
Ogni regista completo' il suo personale viaggio nel passato affiancando ad un'opera di chiara matrice wuxia,  una personale rivisitazione  del suo piu' serioso fratello maggiore : il dramma storico.

Questi alcuni esempi:
Zhang Ymou firma con "Hero" (2002), e successivamente con
"La foresta dei pugnali volanti" (2004) due piccole perle wuxia, mentre con "La citta'  proibita" (2006) compie la sua incursione nella rievocazione storica.
In egual modo Chen  Kaige con "The promise" (2005) costruisce un wuxia con un deciso taglio fantastico, e firma due drammoni shakespeariani, decisamente piu' riusciti, con   "Sacrifice" (2010), e "L'imperatore e l'assassino" (1999);
Hou hsiao hsien  con  "The assassin" (2015), dona al wuxia  eleganza ed intimismo;
John Woo produce il classico  "Reign of assassins" (2010), e con "Red cliff" (2009) compie la sua impresa piu' titanica,  dirigendo un colosso epico storico di circa 5 ore.
 
Purtroppo  il passo successivo dell'industria cinematografica, sedotto da facili guadagni, e' stato quello di  modernizzare vecchi classici utilizzando la scorciatoia del remake (leggi : mancanza di idee), espediente ancor oggi ampiamente praticato in occidente,  per cercare di sfruttare commercialmente l'onda lunga del suo rilancio,  generando pero' pallidi cloni delle gloriose opere del passato, in cui il fascino artigianale dei "wireworks" e' stato spesso sostituito da freddi effetti digitali (a volte anche di scarsa fattura).
Negli ultimi anni  il wuxia pian  ha perso buona parte del suo interesse da parte del pubblico occidentale, anche se si scorgono evidenti tracce del suo passaggio un po' in tutta la cinematografia blockbuster, mentre in patria continua a generare  una grande quantita' di opere, purtroppo spesso dozzinali, inframmezzate, qua e la, da prodotti ancora di ottima fattura.
Non  perda la speranza, percio',  chi (come me) vuole continuare a farsi ammaliare dalla sua magia eterea ed infantile, profonda e consapevole, che ancora prolifera in mille spunti, immagini e situazioni, tra cinema, letteratura, fumetto ed ogni altra arte visiva.

                                                             

 

2 commenti:

  1. Ho visto ed apprezzato solo alcuni film, erano tutti di quella che hai chiamato la terza fase. Riempivano gli occhi, poetici colorati. Ero abbastanza all'oscuro del "prima" e anche del "dopo". La facilità con cui ora è possibile creare effetti con la grafica digitale sta appannando un po' la meraviglia, forse. E' possibile vedere qualsiasi cosa oramai, e poi come hai giustamente scritto l'occidente attinge da tampo copiosamente, partendo da matrix, passando da Tarantino.
    Un altro post molto interessante!

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  2. Anche io ho visto solo alcuni di quelli della terza fase (La tigre e il dragone, Hero, la foresta dei pugnali volanti) e li ho trovati coerenti con l'immaginario estetico della mia generazione di fruitori di fumetti e portatory di pulsioni fantasy. Se non sbaglio il primo fu anche premiato. Peró da qualche mi era parso che il punto di contatto con l'occidente si fosse sfilacciato anche se pensavo forse fosse una percezione personale, ma vedo che tu
    me lo confermi. Bel post arricchito come sempre dalla prospettiva storica

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