lunedì 10 ottobre 2016

RITORNO IN GIAPPONE

In poco tempo decido : ok, si torna in Giappone.
Troppe le cose lasciate sospese.
 Troppi i tasselli che mancano per illudersi, ancora una volta, di avere capito fino in fondo questo popolo enigmatico.
Per cui infilo le gambe sotto il tavolo, accendo il computer, ed inizio il mio secondo viaggio nel paese da cui origina il sole (e tante altre cose).
Lo compiro' attraverso l'analisi di alcune parole chiave, semplici all'apparenza, ma che, come tutto in Giappone, di semplice non hanno nulla.
 
Kanji 

Sono tre le civilta' che per prime hanno sviluppato un sistema di scrittura tramite l'utilizzo di rappresentazioni simboliche : gli egiziani, con i loro geroglifici, gli assiri e babilonesi con i caratteri cuneiformi, ed i cinesi, con l'utilizzo degli ideogrammi.
Il bisogno per tutti, era quello di trasmettere l'idea di un oggetto, di un avvenimento, di un sentimento, nel modo piu' chiaro e sintetico possibile.
L'ideogramma (kanji), piu' di una semplice parola, diventa cosi' una una piccola finestra aperta sull'anima di un popolo, lasciandoci intravedere il loro modo di interpretare il mondo che li circonda. Un esempio : la parola Isola e' composta da due kanji che significano rispettivamente, uccello e montagna.
Graficamente richiama proprio un volatile appollaiato su di una roccia, e deriva dall'osservazione che spesso gli uccelli marini nidificano su piccole isolette rocciose.
Questo metodo di scrittura inizia a prendere piede in Giappone, intorno al Vsecolo,, dopo i primi contatti con la cultura cinese.
 Successivamente accanto ai kanji, si sviluppano altri due tipi di scrittura autoctone :
     l'hiragana che semplifica il kanji sfruttando soprattutto le sue assonanze fonetiche e che fu inizialmente usato prevalentemente dalle donne, considerando gli ideogrammi cinesi troppo complicati,;
     il katakana, metodo di scrittura quasi stenografico utilizzato dagli studenti, forse per distinguersi dall'altro, vituperato, sesso.
Il primo viene oggi utilizzato per i verbi e le preposizioni; il secondo per tradurre i termini stranieri e scientifici.
Entrambi questi sillabari fonetici integrano l'uso della scrittura ideografica, creando un sistema originale e piu' adatto alla lingua giapponese. Oltre che avere una funzione puramente comunicativa, la scrittura ideografica nella cultura giapponese assunse nel tempo una valenza artistica, e ancor piu' spirituale.
Questo e' lo Sho-do, o via della calligrafia.
Con il suo attrezzario di pennelli, inchiostri, fogli speciali, panni assorbenti, fermacarte e recipienti vari, e'un sistema ritualizzato che necessita dedizione, applicazione e rigore. Lo scopo e' riuscire a creare un equilibrio tra mente e corpo, tra semplicita' e bellezza.
Chi la padroneggiava, poteva ambire ad elevarsi socialmente.
Per i samurai, invece, serviva per raggiungere l'equilibrio interiore necessario ad affrontare le sfide della propria professione.
Ma era, ed e', soprattutto pura arte, con il suo alternarsi di pieni e vuoti, di dolcezza ed energia, che seguono nel suo evolversi, le emozioni dell'artista.
 
Jizo

Ogni essere umano nella sua fragilita' ha bisogno di un'ala protettrice, qualcosa di solido e durevole, che lo guidi e vegli sui suoi passi incerti.
Per i cattolici e' una eterea figura angelica, che li segue nel lungo cammino, dalla nascita fino alla morte.
Per i giapponesi, e' il facciotto sorridente ed ammiccante del Jizo, il guardiano di pietra che protegge il viandante, il pellegrino, ai lati di ogni via, negli incroci insidiosi, ma soprattutto nei luoghi dell'eterno riposo, vegliando durante il loro ultimo viaggio.
Il Jizo, nasce come spirito protettore dei bambini abortiti o nati morti, povere anime che senza la loro guida vagherebbero per l'eternita' in un oceano di nulla.
Tanto e' l'amore per queste piccole inamovibili "creature", che i giapponesi durante il rigido inverno le rivestono di berretti e sciarpe di lana per proteggerli dalle intemperie. Nei cimiteri non e' infrequente ritrovarli in folti gruppi, ognuno con la sua differente espressione, ma tutte allegre e sorridenti, conferendo al triste luogo un'aura di squillante serenita'.
Per noi smaliziati figli del domani invece il piccolo Jizo non basta piu',
Ossessionati dal terrore di invasioni di razze aliene, dinosauri evoluti o regni sotterranei, (piu' prosaicamente terremoti, tsunami o disastri nucleari), forse il guardiano piu' adatto  e' il grande Gundam di Obaida, che nei suoi 18 metri di plastica e ferro, muovendo la testa ad orari prestabiliti per segnalarci la sua attenta presenza, veglia su di noi. E su di un centro commerciale li' accanto.
Il fatto che il Buddha gigante di Kamakura (paese del Kanto a sud di Tokyo), elevi la sua presenza mistica di "soli" 13 metri, da' da pensare..
 
Matsuri 

Le feste tradizionali giapponesi sono numerosissime, durante tutto l'arco dell'anno. Per l'antica societa' contadina giapponese, erano un modo per omaggiare le divinita' shintoiste, vere e proprie figure antropomorfe assimilabili agli dei mitologico greci o romani, e i kami, gli spiriti dei luoghi o delle cose, rappresentazioni divine di quella natura bizzosa che era meglio rendersi amica per non compromettere il loro destino.
Considerando che in Giappone esistono 8 milioni di kami, anche se i piu' conosciuti sono 7 e cioe' le divinita' della fortuna, i giapponesi hanno solo l'imbarazzo della scelta.
Molte di queste festività' hanno origini cinesi o indiane, e  sono "sbarcate" in Giappone insieme al Buddismo.
Attorno ad ogni santuario shintoista, si svolgono le manifestazioni piu' disparate : dalle competizioni sportive, alle rievocazioni storiche con i costumi tradizionali, alle feste della fertilita' (kanamara) con le processioni di idoli fallici.
Una delle piu' caratteristiche e' la famosa corsa dei carri, che si svolge dal primo luglio nel quartiere di Hakata a Fukukoa : lo Hakata Gion Yamakasa.
Definire semplici carri questi mostri decorati e traballanti che caracollano per le vie della citta' in una folle corsa contro il tempo, e' puro eufemismo.
Nell'antichita' (la festa ha ben 750 anni), potevano raggiungere anche i dieci metri di altezza, oggi non piu' gestibili in queste dimensioni all'interno del urbano, e il loro ragguardevole peso (fino ad una tonnellata) necessita che i portatori, vestiti con casacca e perizoma tradizionale che li fa assomigliare a lottatori di sumo, siano adeguatamente allenati.
Prima della gara vera e propria, vengono esposti, purificati ed utilizzati per trasportare  i portatori anziani ormai pensionati, in giro per la citta', in segno di rispetto e gratitudine.
Ma la festa dura due intense settimane, fondendo perfettamente sacralita' e puro divertimento.
 

Obon

L'Obon o festa delle lanterne, si svolge prevalentemente verso la meta' di agosto.
E' una festa molto sentita dalle famiglie giapponesi, che in questo periodo dell'anno secondo la tradizione, attendono il ritorno dei propri defunti.

Questa ricorrenza non ha nulla di triste e nostalgico, ma anzi diventa ricongiungimento festoso, fatto di grandi banchetti, musica e danza, ma soprattutto fuochi di benvenuto (mukaebi) che accompagnano i morti sulla strada verso casa, e che, finita la festa, mostrano loro la via del ritorno. Un momento idilliaco e gioioso, che testimonia come la morte per il popolo giapponese sia una semplice tappa dell'esistenza, da vivere con serena accettazione.
 
Setsubun

La festa del lancio dei fagioli, e' un rito ben augurale che si svolge durante ogni cambio di stagione, e simbolizza il rifiuto del male.
Gettando fagioli di soia fermentata in ogni angolo della casa, oppure direttamente  contro il capofamiglia travestito da Oni, si cerca di scacciare influenze maligne e sventure varie.
Gli Oni, che corrispondono grossomodo all'orco occidentale, sono anche i guardiani dell'Inferno, e secondo i taoisti possono talvolta raccontare i peccati degli uomini alle divinita'. Questa loro caratteristica e' tangenziale con un altro mito, quello delle tre scimmiette. Mizaru, Kikazaru e Iwazaru simboleggiano il rifiuto per ogni forma di male (non vederlo, non sentirlo, non pronunciarlo), soprattutto quando sono accompagnate da una quarta importante compagna : Shizaru (non farlo).
E pensare che da noi sono assunte come simbolo negativo di omerta'!
 
Koinobori 

Il 5 maggio in Giappone e' la festa dei bambini, ed il mondo si capovolge.
Il cielo diventa un fiume impetuoso dove si agitano frenetiche centinaia di carpe colorate.
La carpa (koi) e' in Giappone simbolo di coraggio e tenacia, per la sua grande forza di volonta' nel risalire fiumi e torrenti e la sua innata capacita' di adattarsi alle situazioni climatiche piu' ostili.
Viene utilizzata anche per scopi ornamentali, in laghetti o vasche, sfruttandone  l'intensa e variegata bellezza dei colori.
Leggenda vuole che per l'ostinazione ed il coraggio nel risalire una cascata, fu premiata dagli dei, che la trasformarono in un enorme drago, simbolo di lunga vita.
Durante la festa i fanciulli giapponesi ne appendono le effige di carta colorata sulla punta di lunghi pennoni a vibrare nel vento, ed essa li protegge con il suo spirito indomito.
L'uso dell'aquilone durante le festivita' e' molto frequente, e raggiunge il suo apogeo ad Hamamatsu, vicino a Shizuoka, dove i grandi aquiloni si danno battaglia nel cielo in un festoso scontro senza esclusione di colpi. La festa dei bambini  e' l'episodio culminante della Golden Week, che unisce tutti i giapponesi dal 29 aprile al 5 maggio, in un abbraccio collettivo, con una serie di festeggiamenti e manifestazioni folkloristico/religiose.
 
Shibazakura/Momijigari 

Nonostante la loro proverbiale  workaholicita',  i giapponesi si concedono sacri ed imprescindibili periodi di riposo spesso coincidenti con le festivita' nazionali.
Autonomamente, visto che in Giappone le industrie non chiudono mai.
La primavera offre molte opportunita', oltre al famoso Hanami o "Festa dei fiori di ciliegio".
Da circa meta' aprile fino alla fine di maggio, l'imponente silouette del monte Fuji si offre come meraviglioso sfondo alla fioritura del Shibazakura o muschio rosa (Phlox setacea), fiore originario del Nord America, le cui piantine, piu' di quarantamila, pitturano i campi di bianco e viola, come un pacifico esercito profumato. In Autunno invece, le foglie palmate dell'acero giapponese si colorano di un rosso brillante, ultimo grido di una natura in procinto di "morire" sotto la neve dell'inverno imminente.
Inizia allora il Momijigari, una vera e propria caccia alla ricerca dei panorami piu' spettacolari ed affascinanti di questa stagione di passaggio. Esattamente come durante l'Hanami, anche nel Momijigari i telegiornali danno regolari notizie dell'avvenimento, e delle zone piu' belle dove contemplare questa festa della natura, che all'opposto dello tsunami bianco/rosa dei fiori di ciliegio, attraversa l'arcipelago da nord a sud. I giapponesi affrontano questa esperienza con grande partecipazione, pervasi da quello spirito contemplativo che e' parte integrante del loro atteggiamento nei confronti della natura.
 
Otaku 

La ricerca dell'essenza delle cose, fondamentale per sfuggire alle ansie della vita moderna, a volte non sortisce i frutti voluti.
La figura dell'Otaku e' diventata, insieme alle fughe etiliche dell'impiegato frustrato, il simbolo piu' marcato di questo fallimento.
La parola nasce come appellativo onorifico, ed appare su alcuni manga degli anni ottanta dove era usata in tono ironico. Il suo significato si allarghera' fino ai fruitori stessi dei manga, prima in una accezione altrettanto ironica, poi, dopo che nella stanza dell'autore di un terribile fatto di sangue furono trovati innumerevoli fumetti, ammantandosi di un'aura torbida e negativa.
L'Otaku e' la versione estremizzata e patologica del colorito, ma ancora dignitoso, geek, o del geniale ma sfigato, nerd occidentale.
Chiuso nel suo mondo privato, costruito intorno al suo manga preferito, nella sua accezione piu' stereotipata ha il volto perennemente nascosto da un sipario di capelli lunghi e bisunti, un po' come la Sadako di :" The ring". Tanto disordinato nella cura della persona, tanto preciso nelle sue poche regole comportamentali.
Esce di casa (Otaku significa proprio casa, e  associato al suffisso No assume un forte personalizzazione : la SUA casa), solo per andare alle convention di fumetti, o per comprare l'ultima avventura digitale di Final Fantasy.
La sua sessualita' spesso distorta e' un po' il simbolo di una sua involuzione nella cultura giapponese : dagli antichi, delicati Shunga  (gli ukiyo-e versione erotica), alle moderne ossessioni per il feticismo e per le pin up dai seni giganti e ben esposti, vere e proprie bambole gonfiabili di carne, che spesso tappezzano la camera/mondo dell'Otaku.
Senza la sua componente tenera ed affascinante legata all'universo di fantasia in cui si e' murato vivo, rimarrebbe solo la sua versione piu' malata e socialmente pericolosa, l'hikikomori, che purtroppo si sta diffondendo anche nel resto del mondo.
Anche l'Otaku ha avuto recentemente una sua evoluzione. Lo studioso Yohei Harada in un suo recente libro ne identifica alcune nuove tipologie:  
      l'Otaku doloroso (itaota), che non teme il giudizio degli altri, e mostra fiero i propri idoli su berretti e magliette;  
      l'Otaku celato, all'apparenza normalmente inserito nella vita sociale, salvo poi rivelare, nell'ambiente giusto, magari un karaoke, le sue passioni nascoste;  
      l'Otaku inserito, che invece di sfogarsi in eterne discussioni sulla squadra di calcio preferita, dibatte apertamente sulla piu' efficace combo da usare per sconfiggere il boss finale di World of Warcraft.
Il classico Otaku sembra stia sparendo. Non so dire se sia un bene o un male. Di sicuro era molto piu' affascinante, antropologicamente parlando, la sua versione originale.
 
Bihaku 

Per un giapponese l'ideale di bellezza femminile e' associata al bianco (Bi-haku significa proprio bello e bianco).
Bianco era l'etereo colore dell'aristocrazia imperiale, quando le nobildonne si incipriavano il viso per accentuarne il candore con composti fatti di polvere di perle od escrementi di usignolo, trasformandolo come una maschera da teatro Noh.
Lontanissime dalle pelli rovinate dal sole del contadino, scure come cuoio conciato, e percio' legate a ranghi sociali inferiori, molto meno affascinanti per l'uomo comune.
Oggi questa moda estetica e' ad esclusivo appannaggio delle geisha, anche se  durante le feste tradizionali, giovani e vecchie amano rinnovarne la tradizione.
 
Geisha 

Le geisha, si sa, non erano le classiche cortigiane, e anche se non disdegnavano di concedere le proprie grazie, quando lo facevano era a beneficio di un uomo solo (danna), a cui si dedicavano completamente.
Nelle Case delle geisha (okiya), veri e propri collegi diretti col pugno di ferro dalle "Madri",  la vita non era facile : dalle giovani shikomikko, spesso vendute da famiglie povere, attraverso le maiko (apprendiste) fino alla geisha vera e propria, il loro percorso educativo era arduo e costellato di mille umiliazioni. Solo dopo anni di duro apprendistato diventavano vere e proprie intrattenitrici professioniste, esperte in qualunque forma d'arte, per chiunque si poteva permettere di assistere ai loro spettacoli privati di musica e danza, che fosse la grande aristocrazia imperiale prima, o successivamente la emergente borghesia mercantile. Solo dopo aver pagato l'oneroso riscatto che le legava all'okiya, esse riuscivano a raggiungere l'indipendenza e la liberta'.
La geisha era anche un elemento fondamentale della cerimonia del te, di cui conosceva ogni sottile meccanismo. La loro vita era regolata da rigidi vincoli comportamentali, dettati da veri e propri albi professionali.
Ho parlato al passato, ma in realta' oggi per le geisha poco e' cambiato. Se non nel fatto che si sono fortemente ridotte in numero e vivono in quartieri ben precisi, gli hanamaki (citta' dei fiori), concentrati soprattutto a Kyoto.
Nel quartiere di Gion, ad esempio, che rimane una piccola oasi di idilliaca bellezza tradizionale tra i palazzi moderni di una citta' ormai in buona parte occidentalizzata, lungo strade punteggiate di ristoranti, sale da te ed illuminate da evocative lanterne di carta, puo' capitare al distratto turista  l'incontro fugace con una geisha al ritorno da una serata di lavoro che, come una candida statua animatasi all'improvviso, scivola frettolosa sui suoi geta, veloce ed inafferrabile. E' questa l'unica possibilita' per un gaijin di avere un seppur labile e superficiale contatto con questo mondo antico e misterioso, normalmente a noi precluso.
A meno che non si voglia visitare le turistiche ristrutturazioni di antiche case da te' (ochaya), come la Shima a Kanazawa, dove a modico prezzo si puo' essere serviti e riveriti da avvenenti geisha in costume tradizionale, come un nobile di altri tempi.
 
Irezumi 

Nel universo maschile ha sempre assunto un ruolo importante la cultura del tatuaggio.
Da marchio in uso per identificare criminali o caste inferiori considerate impure come becchini o macellai, fino a sigillo di imperituro amore tra amanti o del piu' prosaico legame tra la geisha e il suo padrone. Periodicamente messi al bando per ragioni di sconvenienza, sono immancabilmente riapparsi.
Durante il periodo Meiji, con l'inizio dei primi contatti tra Giappone e resto del mondo, furono proibiti con il timore di sfigurare agli occhi dello straniero, con il risultato che proprio i curiosi gaijin, affascinati da quest'arte stravagante ed appariscente, divennero gli unici ad utilizzarli.
Meritorio di considerazione solo quando rivestiva ampie zone della cute, era ottenuto mediante un processo lungo e doloroso tramite l'utilizzo di lunghi strumenti di bambu' terminanti in grossi aghi di acciaio, e questa agonia poteva durare anche dei mesi.
Ennesimo modo per raggiungere il satori, attraverso pazienza, dedizione e sofferenza.
 
Onsen 

Uno dei vantaggi a vivere in una terra galleggiante su un mare di magma ribollente, e'  quello di avere tutto l' anno, e gratuitamente, acqua calda, anzi caldissima (fino a 45 gradi), da utilizzare anche per scopi prettamente ludici.
Le sorgenti termali (Onsen) sono in Giappone piu' di 120 mila, sparse per tutto il paese. Se ne trovano di vari tipi : immersi nella natura (rotenburo), in alberghi e residence, o in enormi bagni pubblici (ryotan).
Un tempo gli Onsen misti (konyoku) erano frequenti, oggi invece molto piu' rari.
Il loro scopo principale, oltre a quello indubbio di pulizia e relax, e' il raggiungimento dell'hadaka no tsukiai (traducibile come comunione in nudita'),  punto fermo ed imprescindibile per ogni giapponese che, normalmente estremamente pudico e riservato soprattutto nei confronti dello straniero, in queste situazioni si concede totalmente al contatto umano, anche con sconosciuti, sposando l'idea che cio' favorisca lo sviluppo di una societa' funzionante.
Liberta' totale, ma con qualche eccezione : i tatuaggi ad esempio sono vietati in molti Onsen.
Questa antica abitudine, legata alla loro associazione con i reietti della societa', oggi e' fondamentalmente motivata dal fatto che gli unici rimasti ancora ad ostentarli sono gli affiliati alla Yakuza, la mafia giapponese.
 
Utsushi-e 

Nel lontano 1975, quando l'anime di Goldrake fece capolino dai nostri tubi catodici, i soliti puristi, storsero il naso infastiditi. Non tanto dalle scene di violenza, che invece allarmarono le associazioni familiari cattoliche, ma dall'animazione, anni luce distante dai dinamismi a cui ci aveva abituato il buon Walt con le sue etere favole musicali.
Questa tecnica estremamente semplice fatta di pochi fotogrammi alternati per creare un effetto motorio, era discretamente efficace nelle roboanti scene d'azione tra i robottoni giganti, ma rendevano molto meno fluidi e realistici gli intermezzi di semplice dialogo. Oltre che essere un modo per risparmiare sui costi (gli anime venivano prodotti in quantita' talmente elevate da non consentire l'utilizzo di un processo piu' raffinato), questa tecnica di animazione e' figlia della nobile ed antica arte dell'Utsushi-e, o lanterna magica giapponese.
Le storie narrate da ombre danzanti su di una parete, sono sicuramente la forma di spettacolo piu' antica che esista, e se ne trovano testimonianza nelle piu' disparate culture sia tramite l'utilizzo delle mani o di silouette ritagliate. Il cosiddetto "Teatro di Figura" e' la sua espressione piu' articolata, tramite l'utilizzo di burattini come ad esempio nel Bunraku (che insieme al Kabuki ed al Noh costituiscono le tre forme di spettacolo piu' importanti in Giappone) o nel teatro dei pupi.
La lanterna magica, il cui modello base fu importato dall'Olanda durante il diciannovesimo secolo (ma se se ne conoscono versioni autoctone molto precedenti), fece da trait d'union tra le classiche Ombre Cinesi, ancor oggi molto popolari, e i moderni anime.
I vetrini dipinti a mano che si alternano veloci dentro il proiettore, riproducono sulla tela un efficace, seppur semplificato movimento, esattamente come il Goldrake della nostra giovinezza.
 
 
Il piccolo viaggio ancora una volta e' terminato. Spengo il computer e mi alzo dalla scrivania. Ora non rimane che una sola cosa da fare : andarci davvero, in Giappone.
Konnichiwa.
 
Spunti tratti dai siti : Liceograssi.gov.it, f.waseda.jp cultor.org, lucavscono.carbonmade.com, jancoolture.com, Saluramagazine.com.

1 commento:

  1. Ammazza che voglia di farci un giro... Ma con amici italiani perché temo che "la patina" non possa facilmente essere penetrata dai gaijin e rischi che ti rimanga addosso solo solitudine

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