domenica 19 marzo 2017

09/03/2017 : RADIOGRAFIA DI UN CONCERTO

Nel mio notturno, e spesso proficuo, ondivagare alla ricerca di scampoli di buona musica, mi sono trovato nelle situazioni piu' disparate.

Io (premessa)

Ho assistito insieme ad attempati coetanei, all'affascinante esibizione policroma degli Yes;
 ho condiviso con ragazzotti dark, borchiati e tatuati, l'esperienza della furia musicale dei Dream Theatre (noi, appena usciti dal lavoro, in giacca e cravatta);
ho ascoltato un redivivo Neil Young immerso nell'affascinante cornice architettonica della piazzetta barocca di Piazzola sul Brenta;
mi sono lasciato ammaliare dalla ipnotica tromba di Enrico Rava in un fumoso teatro tenda, dove le scarpe si appiccicavano ad ogni passo a sostanze misteriose.
La musica unisce, la musica accomuna.
L'esperienza recentemente avuta al Freak Out di Bologna, e' comunque stata particolarmente eccentrica.
Il luogo e' una specie di Estragon in miniatura, un tipico locale alternativo, ben conosciuto da chi frequenta la notte musicale bolognese.
Di solito gli spazi da concerto sono annunciati da luci, manifesti ed accessibili parcheggi.
Qui, nulla di tutto cio'.

Il Freak Out (il dove)

Da uno dei cavalcavia che sorvola la sottostante ferrovia e porta verso il centro della citta' (una normale strada di passaggio piena di lampioni e gente che si affretta seguendo normali e metodiche direttive), si scende per una scalinata stretta e sporca fino ad una zona residenziale fitta di grattacieli condominiali, la cornice di una apparentemente normale periferia cittadina.
Ma, appena arrivati alla fine della discesa, si entra in un mondo "a parte", che di "normale" non ha nulla.
Lungo i binari, sfilano una fila di caseggiati malconci, illuminati da piccole oasi di luce giallastra. Un monotono ritmo percussivo mi attrae verso un locale (piu' un anfratto, una fessura nei piloni del cavalcavia, opportunamente denominato "Il Buco"), dove quattro ragazzotti picchiano come fabbri su enormi bonghi colorati, ossessivamente, lo sguardo perso che segue personalissimi schemi armonici. Entro ed esco nel giro di un minuto: non e' il posto che cerco.
Girato l'angolo scivolo in un passaggio maleodorante, che attraversa il cavalcavia soprastante, tra pareti fitte di murales mezzo sbiaditi, verso l'ignoto. Non un cartello, non un segnale.
Solo mucchi di "roba", che riposa nel buio.
Non essendoci alternative, decido comunque che sia la direzione giusta.
Fatti pochi metri, un bivio.
Prendo a destra, e finisco davanti ad un club prive' di non chiara destinazione. Porta di legno massiccio e ben rifinito, battenti dorati : un ambiente totalmente alieno al resto della zona, che infatti lo circonda, ostile.
Ma ancora non e' quello che cerco.
A sinistra invece la strada finisce contro un malconcio caseggiato. I muri sono ricoperti di manifesti, muti testimoni di passati happening musicali, un vero arazzo multicolore dove gruppi dai nomi stravaganti sono in posa in eccentriche foto di gruppo.
Di fianco all'entrata una scritta a pennarello nero sui mattoni scrostati dichiara : "Freak Out is here", e mi conferma di essere giunto a destinazione.
Bene.
Ovviamente, essendo arrivato due ore prima, il locale e' vuoto.
Accanto all'entrata, un tazebao di spessa carta bianca alto due metri, riporta a penna tutti i prossimi concerti.
Di gruppi a me completamente sconosciuti.
Ma il programma e' ricco, testimonianza dell'intensa vitalita' del locale.
Lentamente comincio a respirare un'aria familiare, un'atmosfera solida e concreta, il residuo acre ed intenso che la musica lascia nei luoghi in cui e' stata, anche dopo che le luci si sono spente. Sono arrivato, sono a casa. Soprattutto sono qui per il Moro.
L'ho rincorso da un po' di tempo, ed infine l'ho trovato.


Il concerto (il cosa)

Questi alcuni dati anagrafici : Massimiliano Morini, in arte Moro, classe 1973 (circa), forlivese, professore associato d'Inglese all'Universita' di Udine.
Soprattutto : cantautore.
La sua musica, qualcosa di mezzo tra il british pop con venature folk e l'american ballad in chiave elettrica, affascina e convince.
Egli tiene saldamente i piedi in entrambe le frontiere musicali anglosassoni, con sicurezza e disinvoltura.
Ho apprezzato le melodie bucoliche di "Home Pastorals", il suo terzo cd, dove la voce del Moro cerca un personale percorso per la sua rivoluzione silenziosa.
Al di la dei mille riferimenti, che come ovvio ogni musicista si porta dietro nel suo zaino di ricordi ed emozioni, la musica e' sua, di Massimiliano Morini, e di nessun altro. Per chi volesse approfondire le origini musicali del Moro, egli ha recentemente pubblicato un cd ("Folk the eighties"), dove ripropone in chiave acustica famosi pezzi anni ottanta, un po' quello che hanno fatto gli Hellsongs con la musica metal.
Verso le dieci si inizia.
Dopo l'esibizione minimalista di un cantautore con velleita' alla Sufjan Stevens, i Silent Revolution entrano in pista.
Nel frattempo qualcuno e' arrivato, ma c'e' spazio, e questo aiuta ad apprezzarli.
D'altronde in un locale cosi' piccolo se ci fosse la folla sarebbe un vero dramma.
Il gruppo dal vivo e' compatto e senza fronzoli solistici.
La voce del Moro (non potentissima, a volte sussurrata), si amalgama alla perfezione con il resto.
La serata e' incentrata sulla presentazione del loro nuovo disco, "High and low", uscito da poco.
Il lavoro e' diviso in tre parti ben distinte :
la prima (High) e' una riproposizione di brani dal loro stile piu' riconoscibile;
la seconda (Low) una serie di divagazioni alla Radiohead, un approccio ancora timido ad una musica piu' sperimentale che pero', secondo me, si apprezza di piu' su disco dove l'elettronica che accompagna i brani, amplia ed arricchisce l'atmosfera;
la terza (Silent) e' una serie di brevi quadretti musicali, come frammenti di una ipotetica colonna sonora per un idilliaco viaggio ai confini del mondo.
Seguono i migliori brani dei dischi passati, tra cui : "You deserve", che considero il loro "pezzo della vita" : un equilibrio perfetto tra orecchiabilita' ed innovazione.
Chiude il concerto la loro mascotte musicale, quel "City pastoral" che e' stato anche sigla di una trasmissione televisiva.
Peccato veniale, anche perche' il brano ha una facilita' di assimilazione che sorprende, come una filastrocca per adulti, piena di ritmo, che si insinua nei pensieri e difficilmente li abbandona.

Conclusione

Durante la stesura di questo pezzo (racconto? omaggio?) mi sono reso conto che non e' facile scrivere di musica riuscendo a comunicare le proprie emozioni, stimolando nel lettore un interesse ad approfondire.
Senza annoiare od essere troppo auto referenziali.
In pratica di Lester Bangs ce n'e' stato uno, e tanto basta.
Mi limito a concludere dicendo che la serata e' stata deliziosamente eccentrica, ma piacevole ed appagante.
Nell'ambiente underground della musica italiana, il Moro mi sembra una delle gemme piu' interessanti, cercando percorsi sonori alternativi senza diventare troppo ostico.
Speriamo si mantenga.

2 commenti:

  1. Grazie, Steve - è stato un piacere averti nel pubblico

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  2. Grande Moro, prof-musicante! Peccato che la musica conti così poco nella mia vita e la stanchezza serale così tanto... Ti seguirei di più

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