venerdì 27 novembre 2015

Le dimensioni contano

by Robo

Sì, contano.
E per gli animali cambiano le regole.
Provate a pensare ad un campo erboso: per un ruminante delle dimensioni di una mucca parliamo di un pascolo. Erbe di varie specie, che finiscono tutte nella sua pancia, lei cammina letteralmente sul suo cibo, un po' come se noi lo facessimo su un asfalto ricoperto di prosciutto, o di rigatoni a seconda dei gusti.
Ora prendiamo un topo, più piccolo di una mucca di un fattore 30.000, 20 grammi contro 600 kg. Per il roditore il pascolo è un bosco di arbusti alti più di lui. Non li mangia ma può nutrirsi dei semi e degli insetti. Può nascondersi nelle buche del terreno e può essere predato. La mucca non può nascondersi ma non può neppure essere predata, almeno qui.
Un insetto come una formica è più piccolo di un topo di un fattore 4000 e per lei il bosco di arbusti è una foresta di alti alberi. Un terreno accidentato in cui può trovare di tutto per il sostentamento della propria colonia, ma anche tanti pericoli.
E' un esempio banale tanto per mostrare che le dimensioni contano, perché consentono di accedere a nicchie ecologiche diverse anche restando nello stesso identico posto. Questa cosa è tanto valida che topi e ratti possono occupare lo stesso prato o, più probabilmente, la stessa cascina, a fronte di una differenza dimensionale di un fattore 10; ovviamente per il topo non è salutare incrociare il ratto.



Plasticità

Le dimensioni contano ma non sono cristallizzate, la pressione selettiva può innescare una variazione dimensionale che, se c'è abbastanza tempo, le può mutare di molto, in un senso o nell'altro.
Alcuni  piccoli roditori africani nell'eocene ebbero la fortuna di attraversare il tratto di mare che divideva l'Africa dall'America del sud su delle zattere di vegetazione. Si pensa ad un fatto casuale, improbabile di per sé ma che, capitato innumerevoli volte nel corso di milioni di anni, ha portato alla colonizzazione del nuovo continente quando l'oceano atlantico era molto meno esteso di adesso. Una volta giunti in questo continente, vergine ai roditori, i nuovi abitanti si differenziarono in una miriade di forme, tra quelle odierne ci sono, per esempio, cincillà, cavie e capibara.
In un grande numero di generazioni, da questi animali che noi, per esperienza, associamo ad una dimensionalità ridotta (il capibara stesso ci appare abnorme con le sue decine di chilogrammi ed i suoi incisivi da topo) si sviluppò un gigante come questo:


Josephoartigasia Monesi, un topone o meglio, un cavione, di quasi una tonnellata vissuto fino a 2 milioni di anni fa.
Gli stessi meccanismi di plasticità, spalmati nel tempo profondo, possono fare questo ad un elefante:


 L'Elephas Falconeri vissuto nella Sicilia dell'era glaciale.
Quest'ultimo caso rientra in un fenomeno specifico: "the island rule".
Si tratta di un particolare insieme di fattori selettivi che è all'opera in zone geograficamente isolate e assimilabili dal punto di vista ecologico, come le vere e proprie isole o le oasi nel deserto o monti quasi inaccessibili ("sky island"). Queste posti tendono a far crescere di dimensioni alcune specie piccole ed a far diminuire di dimensioni alcune specie grandi.
Le due eventualità si chiamano rispettivamente nanismo e gigantismo insulare.
Il primo è più tipico dei mammiferi e si ipotizza sia dovuto al fatto che le risorse più limitate di un zona ristretta selezionino col tempo, partendo da specie di grosse dimensioni, i soggetti più piccoli che hanno meno necessità di cibo e acqua e possono meglio superare i periodi di scarsità. Un altro fattore ipotizzato che favorirebbe un calo della mole sarebbe l'assenza dei predatori specifici (riguardo le prede) o la minor mole delle prede (riguardo i predatori), rispetto alle zone di provenienza sulla terraferma; la predazione è infatti uno dei fattori selettivi più forti, e le tigri isolane di Giava e Sumatra erano più piccole, stessa cosa per i rinoceronti.
Il secondo fenomeno, comune a più classi, ha portato animali insulari a raggiungere dimensioni maggiori dei loro parenti di terraferma. Tra costoro ci sono delle celebrità come il Dodo, il piccione gigante non svolazzante più iconico della storia. Anche qui si pensa c'entri la predazione: un topo può divenire più grande perché mancano i suoi nemici naturali e non ha più necessità di nascondersi; un'aquila o una lucertola (tipo varano di Komodo) può divenire più grande, andando ad occupare la nicchia di predatore apicale che l'assenza di grossi mammiferi carnivori ha lasciato vacante.
E le tartarughe di Aldabra e delle Galapagos? Non è chiaro ma in questo caso il gigantismo risponderebbe forse meglio alla necessità di spostamento verso nuovi pascoli nelle crisi locali e ad un fenomeno di convenienza metabolica, visto che essere più grandi, significa anche essere più efficenti nello sfruttamento dell'energia contenuta nel cibo.
Insomma nelle isole agisce una sorta di tensione verso una distribuzione delle masse meno dispersa, più democratica.

Restando  nella linea parentale degli elefanti possiamo individuare, col tempo, un ribaltamento dei ruoli dimensionali con alcuni loro affini, le iraci o procavie che oggigiorno sono cosi:


Nell'eocene, circa 40 milioni di anni fa, gli iracoidei erano dispersi in una moltitudine di forme, sviluppandone anche di simili a gazzelle, e altre massicce come Titanohyrax che era un bestione di circa 650 chilogrammi, molto più grande degli elefanti suoi coevi che erano, più o meno, come suini odierni e portavano zanne e proboscide appena accennate.
Poi le parti si sono invertite nei milioni di anni trascorsi da allora.
L'arrivo in Africa di artiodattili e perissodattili (antenati di mucche e cavalli) molto più efficienti costrinse gli iraci in nicchie sempre più periferiche, fino a ciò che sono oggi: strane creature difficilmente categorizzabili per noi e che non superano i 5 chilogrammi di peso.

Di seguito il teschio dell'ultima irace di grosse dimensioni, risalente a circa 2 milioni di anni fa, che ha fattezze da simil-roditore


E lo scheletro completo dell'elefante Moeritherium, circa 35 milioni di anni fa:



Limiti e campioni di categoria

Cominciamo dai più piccoli: i protisti, per semplificare diciamo protozoi.
Di solito questi non si vedono se non al microscopio ma ce ne sono alcuni visibili ad occhio nudo.

I foraminiferi sono protozoi marini in cui una singola cellula è circondata da un guscio calcareo e sono tra l'altro i loro gusci a costituire gran parte dei depositi di carbonato di calcio degli oceani.
Di solito non superano il millimetro ma alcuni di loro possono diventare molto più grandi, anche alcuni centimetri, ed essere bentonici, ossia legati al fondo marino.
L'impronta fossile di un genere estinto, Nummulites, ci indica l'esistenza di un cellulone corazzato di 15 centimetri. Sotto, una delle migliaia di forme diverse assunte dal loro guscio:


Se invece di una cellula singola accettiamo la presenza di un sincizio, allora dobbiamo contare anche le muffe melmose o Myxomiceti.

A dispetto del nome non sono funghi ma protozoi giganti, in cui miriadi di nuclei si muovono nelle correnti citoplasmatiche di un'unico grande "sacchetto" lentamente semovente che può lasciare indietro pezzi di sé, il più grande è Brefeldia Maxima, fino a 30 centimetri di melma spessa 1,5, ma in condizioni di laboratorio, senza predatori, è stato possibile giungere a dimensioni molto maggiori.
Fresca:

Dopo aver sporulato:


Un Myxomicete è ciò che di più simile ad un "blob" esiste in natura:


Gli insetti non possono essere troppo grandi pena l'inefficienza del loro sistema di respirazione, questo ci salva da cavallette grosse come gatti (brrrr!) ma tra gli invertebrati loro parenti il granchio gigante del giappone non scherza...


  ...e neppure lo fa il granchio terrestre del cocco (un paguro in realtà).


Quest'ultimo in particolare respira aria atmosferica ma non ha trachee come gli insetti bensì branchie modificate ad hoc per fungere da polmoni; sono mantenute sempre umide dal paguro perché possano assolvere la funzione di estrarre ossigeno aereo ma hanno perso efficienza a svolgere tale funzione in acqua. Per cui se immergiamo il nostro troppo a lungo... annega.
Non si può certo dire uno vispo, ma la forza non gli manca, visto che apre le noci di cocco a "chelate".
Io, lo ammetto, ne incontrassi uno, penso cambierei strada, suscitando grasse risate da parte di qualche polinesiano abituato alla presenza di questi affari, tanto da non farci più caso.

Sono comunque esistiti invertebrati acquatici molto più grandi, rispetto ai quali il granchio gigante del Giappone apparirebbe modesto: gli Euripteridi o scorpioni di mare, chelicerati come gli scorpioni che noi conosciamo ma non strettamente imparentati con questi ultimi.
Alcune specie, in particolare erano lunghe più di due metri, nuotavano e forse strisciavano per brevi periodi fuori dall'acqua:


Parecchi milioni di anni prima un loro lontano parente di analoghe dimensioni nuotava placidamente nei mari filtrando il plancton dell'epoca, almeno così si deduce dalle strutture fossilizzati: L'Aegirocassis Benmoulai.
Faremmo fatica a porre un simile essere nelle nostre categorie, sembra un gambero gigante senza appendici:

Questo animale era probabilmente una versione molto derivata del gruppo degli anomalocaridi, artropodi "esplosi" nel cambriano e reggenti del ruolo di predatori apicali acquatici per molti milioni di anni prima dell'avvento dell'età dei pesci. Non hanno lasciato discendenti.

La palma dell'artropode più massiccio va però ad un miriapode del carbonifero, più tardo dei gruppi precedenti; come gli attuali millepiedi, suoi parenti, si nutriva probabilmente di materiale vegetale in decomposizione.
Il suo nome è Arthropleura e sono stati ritrovati fossili di diverse dimensioni ma i più grandi erano così:


Mamma mia, non pensavo di dirlo ma... viva l'estinzione!

Per quanto riguarda i mammiferi, cioè noi, ci sono probabilmente limiti dimensionali legati alla fisiologia: essere troppo piccoli, tipo toporagno o moscardino, porta ad un metabolismo accelerato per essere efficienti e mantenere il calore corporeo attivamente a fronte di una ingente dispersione, per cui bisogna mangiare tanto in proporzione al proprio peso, o andare in letargo quando il cibo scarseggia, tipo ghiro; questo prescindendo da altre forme di adattamento collaborativo come la socialità.
I più piccoli, trovati finora, sono il Pipistrello Calabrone:



 ed il Mustiolo Etrusco:


Va da se che, ai tropici, è più facile essere piccoli per via del fatto che è più caldo.

Essere troppo grandi invece può trovare un limite superiore nella disponibilità di cibo, anche se si consuma per unità di peso di meno in confronto ai piccoli.
Il problema non è quindi sul singolo ma sulla numerosità che può divenire insostenibile, e non è un caso che gli erbivori spostino l'asticella dimensionale più in alto visto che, per loro, è più semplice trovare di che nutrirsi, perché non devono combettare con la propria "preda" (fatto salvo spine e veleni vegetali) e dispongono di più energia da brucare. Infatti ad ogni passaggio sole-fotosintesi-consumatori primari-consumatori secondari c'è una forta perdita energetica legata all'efficienza della fissazione della CO2 e poi dei processi digestivi (che consumano energia) nonché alla incapacità di questi ultimi di estrarla totalmente, e all'uso di quella non solo per la costruzione di strutture edibili ma anche per spostamenti, riproduzione, etc.
Il record assoluto della massa tra i mangiatori di carne, non contando i piscivori pinnati come l'elefante marino e senza distinguere tra quella fresca o "frollata", lo conosciamo già: Andrewsarchus. Qui la sua famosa mascella sulla quale hanno speculato generazioni di scienziati e di bimbominkia:


Non si è trovato altro, ad ora. Una decina di milioni di anni dopo compaiono alcuni suoi parenti che noi descriveremmo come sorta di cinghialoni con le gambe lunghe (anche se le solite ultime analisi filogenetiche li porrebbero altrove), gli entelodonti.
Non prettamente carnivori, ce li si immagina scorrazzare mangiando tutto quello che trovano o che riescono a raggiungere:


Ma perché diventare grossi?
Perché non ti mangia nessuno sostanzialmente, o perlomeno gliela rendi dura. Se non ci fosse l'uomo, elefanti, rinoceronti ed ippopotami adulti non avrebbero nemici naturali visto che di carnivori brontofagi non ce ne sono più.
Poi per gli erbivori c'è un'altro motivo: prima dell'invenzione del rumine che è sostanzialmente un allevamento di batteri, pre-stomaco ghiandolare, che fanno il grosso del lavoro per te, se eri erbivoro dovevi fare una selezione dei vegetali, non potevi mangiare alla carlona tutto ciò che ti finiva davanti alla bocca. I cavalli che non sono ruminanti fanno ancora così, scelgono. Quando pero il tuo intestino diviene abbastanza grande finisce per essere un deposito di cibo che si svuota così lentamente che c'è il tempo per digerire quasi ogni materiale vegetale e c'è lo spazio per introdurne così tanto che anche se non lo smonti tutto ti basta. Ma per avere un lungo e capiente intestino devi essere... grosso.

Tra i fu-big erbivori obbligati ci sono diverse menzioni per le dimensioni ragguardevoli. Certamente meritano una citazione gli arsinoiteridi con lo spettacolare Arsinoitherium di 37 milioni di anni fa e il suo doppio corno frontale:


Pur apparendo ad uno sguardo superficiale simile ad un rinoceronte, si pensa che questi bestioni non fossero vicini ai perissodattili (cavalli e rinoceronti) ma condividessero antenati in comune con proboscidati, sirenii e le già incontrate iraci. Tra l'altro il loro corno aveva una base ossea e non era fatto interamente di cheratina come quello dei rinoceronti.

Non si può non citare i brontoteridi, questi sì perissodattili e vagamente simili a rinoceronti ma più apparentati con i cavalli; notevole per dimensioni Megacerops famoso per il corno a "Y".


Poi i veri rinoceronti con il genere che prese sul serio il fatto di portare un corno: l'Elasmotherium. Un grosso animalone pascolatore.
Le ricostruzioni non coincidono, contribuisce il fatto che, come ho già detto, il corno dei rinoceronti è di cheratina come i peli ed i capelli e si conserva male, per cui nei fossili si vede solo la sua base ossea che era più spostata verso la fronte.
Un esempio:

Salendo ancora come dimensioni troviamo i proboscidati, ossia gli elefanti.
Partiti da forme tapiroidi, che sono un evergreen dell'evoluzione (in una foresta umida un tapiro ci sta sempre), sono arrivati alle odierne passando (si fa per dire, ricordate il cespuglio?) per i mastodonti che di nome scientifico fanno "mammut" e per i mammut che di nome scientifico fanno "mammuthus". Perché questo? Non lo so.
Comunque i mammut-mammuthus sono della famiglia dei veri elefanti, i mastodonti-mammut sono più distanti. Un antico parente di costoro che merita una menzione dimensionale è il grosso Deinotherium (già dal nome...) che aveva una disposizione delle zanne un po' diversa da quella cui ci hanno abituato i pachidermi nostri coevi:


Comunque i proboscidati hanno esplorato varie possibilità riguardo le zanne:
Zigolophodon Borsoni


Un Gonfoterio


Stegotetrabelodon


Ambelodon


E, per ultimo, il più grosso proboscidato mai esistito, l'enorme Mammuthus Sungari


Io sono affascinato dagli elefanti perché sono realmente un unicum evolutivo.
Ok, le pinne sono ganze ma ce le hanno pinnipedi, cetacei ed anche i sirenii.
Le zampe da saltatore del canguro ti lasciano una sensazione di unicità ma poi allarghi lo sguardo e ti accorgi che, per convergenza evolutiva, hanno sviluppato la medesima soluzione  anche i Gerboa, i ratti canguro e le lepri saltatrici, ogni gruppo indipendentemente dall'altro.
Ma la proboscide, nel corso di tutta la storia evolutiva, per quanto ne sappiamo è stata "concepita" una sola volta.

Meritano un'immagine i roditori salterini, sotto una lepre saltatrice (che con le lepri non ci azzecca)


ed un gerboa


Dopo questo panegirico del quinto (o sesto?;-) arto bisogna però premiare il mammifero più grande che abbia mai calcato il suolo, che non è un elefante ma un rinoceronte alternativo.
"Siore e siori, the winner is....Indricotherium!". Applausi.

Parliamo di un brucatore di alberi a quasi otto metri d'altezza, se allungava il collo verso l'alto, e con arti colonnari superati per dimensioni solo dai quelli dei grandi sauropodi dell'era terziaria.
Ora ve lo mostro:

Alcuni dicono che Indricotherium (o Paraceratherium) abbia rappresentato il limite massimo raggiungibile da un mammifero terrestre... grazie al cazzo, non hanno trovato nessun fossile di dimensioni maggiori! (in realtà ci sono ipotesi su un altro proboscidato che potrebbe avere massa assimilabile o superiore ma è difficile, con poche ossa, fare confronti attendibili).

Di seguito, foto di famiglia dei rinoceronti



Ok. Abbiamo parlato di mammiferi ma costoro sono solo una parte dei vertebrati, quella che ci ha generato, ma gli altri?
Se ci guardiamo attorno i non-mammiferi non ci appaiono comparabili per dimensioni con il nostro parentato peloso. In effetti ippopotami piumati non se ne vedono ma ancora una volta dobbiamo allargare lo sguardo, lontano da qui e da questo tempo, ma in fondo mica tanto. Ancora nel 1600 in Madacascar vivevano i più grossi dinosauri moderni mai esistiti: gli uccelli elefante.
Tipo struzzi ipertrofici pascolavano pacificamente tra i lemuri, innocui per loro.
Poi arrivò un lontano parente di questi ultimi, più aggressivo e non gli parve vero di poter disporre di queste montagne di carne, e le estinse.
Gli ci volle un po' di tempo ma ci riuscì.


Forse però Aepyornis Maximus non è stato il più grosso.
Molti milioni di anni prima di lui, una sorta di anatra gigante, Dromornys, muoveva i propri passi ed usava il proprio becco immenso per spezzare qualcosa di molto duro: piante coriacee? Ossa? Non si sà.
Un simil-anseriforme con ascendenza comune alle nostre oche, cigni, germani reali, solo forgiato in modo eccezionale da caso e necessità.


Tra i rettili attuali il campione dimensionale è il coccodrillo marino che è un vero mostro pericoloso e bellissimo

ma se guardiamo agli squamati, altresì detti sauri (lucertole, iguane, gechi, scinti e serpenti che sono, in realtà, filogeneticamente molto distanti dai coccodrilli) una bella figura la fa il varano di Komodo che è comunque una versione ridotta del suo parente australiano estinto Megalania.
Sulle effettive dimensioni di quest'ultimo lucertolone ci sono opinioni diverse:


I serpenti sono sauri, di un ramo divergente si pensa verso una vita sotterranea, poi successivamente riemersi (letteralmente) ad occupare nuovi ruoli ecologici lungo i tortuosi percorsi dell'evoluzione.

Oggi il nostro campione, per peso effettivo e "culturale" è l'anaconda verde che è un bell'animalone mordace

in passato invece ci sarebbe stato un serpente gigante, Titanoboa, di cui però si sono ritovare solo alcune vertebre che sono molto più grandi di quelle dei suoi parenti viventi


Lo squamato più grosso mai esistito è una recente star del cinema, visto che è comparso in una pellicola che  ha come protagonisti i dinosauri.
Proprio lui che dinosauro non è: il mosasauro.
Un rettile imparentato con le attuali lucertole tornato alla vita marina e che con i dino ha in comune solo l'estinzione al limite K-T. La specie hoffmannii è quella che più stuzzica la bimbominkietudine, visto che si stimano 16-18 metri di lunghezza.
I produttori del film conoscono bene i loro polli ed hanno pensato di esagerare un po':


Anche senza farlo diventare un leviatano è comunque il campione tra gli squamati/sauri.

E i dinosauri? Erbivori o carnivori poterono diventare più grandi perché, a differenza dei mammiferi, non dovevano usare energia per mantenere l'omeotermia, anche se si crede le forme di piccole-medie dimensioni avessero un certo controllo attivo della temperatura corporea, inoltre disponevano di un sistema respiratorio più efficiente tipo quello aviano ed alcune parti del loro scheletro erano alleggerite da sacchi pneumatici, questo spt evidente nelle colonne vertebrali dei grossi sauropodi (ma non in tutti).
La respirazione nei dinosauri, anche quelli moderni, è diversa dai mammiferi: noi riempiamo 2 sacchi elastici e portiamo l'ossigeno agli alveoli e poi espirando non sfruttiamo quello ancora presente (pensateci, altrimenti fare la respirazione bocca a bocca a qualcuno vorrebbe dire ucciderlo più rapidamente;-).
Invece loro hanno sacchi aerei che raccolgono l'aria che passa in inspirazione da canali respiratori in cui avvengono gli scambi gassosi col sangue, poi in espirazione ce la fanno passare una seconda volta. Il tutto senza un diaframma.
Non male direi.


Io che sono di formazione bimbominkia ho una predilezione per quelli grossi o cattivi ma nel caso di bestie estinti da decine di milionate di anni ci sono limiti dovuti al fatto che non parliamo di animali reali ma di ricostruzioni, spesso basate su poche ossa disarticolate.
La rappresentazione può essere quindi molto aleatoria, perché trovare un femore o una vertebra singola necessita poi di risalire alle sinapomorfie (caratteri anatomici specifici e comuni di un dato gruppo) per poter poi confrontare le dimensioni relative, ed esprimere un'ipotesi strutturale.
Mica facile, tutt'altro che certo. Per cui si è assistito alla corsa verso il più grosso, basata sul quasi nulla, addirittura di un ipotetico "più grosso di tutti" (Amphicoelias fragillimus) sono addirittura andate perse le ossa e non parliamo di robine di 10 centimetri.
Poi magari un gigante risulta di un raggruppamento diverso da quello inizialmente supposto e tutti i calcoli, di per se incerti, basati sul parente prossimo più completo sono da buttare.

Al momento, pur avendo uno scheletro molto lontano dall'esser completo, il big boss riconosciuto è Argentinosaurus, del gruppo dei Titanosauri.
Già dal nome si capisce che non erano animali piccolini ma lui è il più grande, il Burj Khalifa dei dinos, almeno fino a quando non si troveranno scheletri più completi ma forse anche dopo.

Non ci metto neppure un'immagine, meglio immagin...arlo:
Quattro arti colonnari a sostenere un corpo che è sostanzialmente un silos di decomposizione per vegetali. Una lunga coda a frusta. Un altrettanto lungo collo con in cima una piccola (in relazione al corpo) testa brucante. Poco cervello. Una bocca. Un culo e tanto corpo per trasformare in merda tutto ciò che entra... ed in realtà poco altro, ma uno spettacolo della natura di cui il tempo ci ha privati.

Ecco, qui sono fortemente dispiaciuto per l'estinzione e ricordo ancora la meraviglia del primo Jurassic Park nella scena in cui si vedono brachiosauri brucare le cime degli alberi.
Dopo questi giganti fa un po' specie che, per osservare l'animale di maggiori dimensioni che sia mai esistito dobbiamo tornare ai giorni nostri. Lo sappiamo tutti, ce lo dicono dalle elementari: l'animale più grosso mai esistito, fino a prova contraria, è la balenottera azzurra.


Oltre un certo peso, sulla terraferma, il sostegno operato dagli arti diviene critico così come il ritorno venoso al cuore difficoltoso; in acqua le cose cambiano visto che non ci sono limiti gravitazionali al raggiungimento delle maggiori dimensioni possibili. E così saltano fuori dal cappello magico dell'evoluzione i cetacei misticeti: balene e balenottere.
Io amo, in particolar modo queste ultime perché più eleganti nella loro forma affusolata, che rivela anche una maggior attitudine alla velocità, e mi ha sempre intrigato il fatto che le pieghe della gola servono a creare un sacco di raccolta dell'acqua, più vasto possibile, la quale sarà poi pompata dalla lingua contro i fanoni per espellere il liquido e trattenere il cibo.


Un bestione come la balenottera azzurra può raggiungere velocità di decine di nodi e questo è notevole, ma sono tanti i primati: il cuore più grande del mondo: 600 chilogrammi, il pene più grande del mondo, i cuccioli più grandi del mondo, e chissà quanta altra roba...più grande del mondo. Non la faringe cui passerebbe a fatica un pallone da calcio.
Ma ciò che, a mio parere, affascina di questi animali è il fatto che il loro modo di essere mammiferi intelligenti è quasi non commensurabile per noi.
Sono intelligenti ma di un tipo di intelligenza che non comprendiamo, hanno linguaggi che ci sono ancora parzialmente ignoti, non conosciamo neppure bene tutte le loro abitudini e del gigante azzurro in particolare, visto che è tendenzialmente solitario e non così schiamazzante ed esibizionista come le parenti megattere. Sembrano gli alieni di un mondo acquatico, pochi gruppi di animali sono così affascinanti.
Con dimensioni corporee così esagerate sorge però un problema. Le cellule di una balena non hanno dimensioni mediamente diverse da quelle di un moscerino, quello che cambia è il numero. Ora avere più cellule, mooolte più cellule, significa moltiplicare la probabilità che qualcuna di loro si "sbagli" e finisca per innescare un processo cancerogenetico, spt se l'arco dell'esistena è esteso negli anni.
La balena dovrebbe quindi essere soggetta a neoplasie più frequentemente degli animali di piccola taglia, ma ciò non accade: è il "paradosso di Peto" (si chiama così dal nome dello scopritore, il professor Peto :-).
Non ci sono certezze sul perché le cose stiano in questi termini ma un'ipotesi è stata formulata. Integrati nei genomi dei mammiferi ci sono un gran numero di retrovirus endogeni; si anche in noi, siamo pieni di questi tratti silenti, siamo NGMO (natural genetic modified organisms).
I retrovirus integrano normalmente il loro DNA con quello dell'ospite e, ogni tanto, nel corso della replicazione, capita che dei tratti genici restino nel genoma delle cellule della linea germinale e vengano trasmessi assieme a tutto il resto, questo è accaduto per decine di milioni di anni. Questi tratti integrati sono molto numerosi e si pensa siano legati ad un'incremento del rischio di sviluppare neoplasie (la dimostrazione c'è al momento solo per i tumori del sangue).
Dato che le balene sviluppano cancri meno dell'uomo, a parte il fatto che non fumano ;-), si pensa ciò sia dovuto al fatto che la pressione selettiva abbia favorito in loro dei meccanismi di controllo dell'incorporazione genomica dei retrovirus e/o dell'espressione potenzialmente negativa dei tratti integrati. In altre parole se vuoi essere grosso e vivere a lungo deve essere così.


Campioni assoluti

Al momento la più piccola creatura vivente(?) conosciuta è il Circovirus Porcino tipo 1 con un capside di 17 nanometri e un singolo filamento di DNA di 1759 nucleptidi, pochini.
Di seguito il suo cugino PC tipo 2, solo leggermente più grande


Tanto per dare qualche metro di paragone il virus più grande finora scoperto è il Mimivirus che ha un capside di circa 400 nanometri ed un genoma costituito da 1,2 milioni di coppie di basi.
C'è un bel gap dimensionale, maggiore di quello che sussiste tra un uomo e la balenottera azzurra.


Considerate inoltre che un nostro globulo rosso ha un diametro medio, del piano espanso, di 7500 nanometri e che il genoma umano contiene 3,2 miliardi di paia di basi e non è neppure il più esteso.
Il record assoluto, provvisorio, lo detiene una piccola pianta, Paris Japonica che ha un genoma 50 volte più capace di quello umano; va detto che le dimensioni corporee e quelle del genoma non sono, entro certi limiti inferiori, correlate.

E il più grande? Il campione pound for pound? Non è la balenottera azzurra.
Non è neppure, se mai esistito il Bruhathkayosaurus matley, nella rappresentazione estrema di noi bimbominkia, probabilmente estinto per affogamento nella di lui saliva, tentando di pronunciare il proprio nome...

E se fosse un vegetale? Magari un albero, come il Generale Sherman!
Il Generale è un esemplare di Sequoiadendron Giganteum di 83 metri e per volume è forse davvero il più grosso di tutti. Pesa 1910 tonnellate, ai voglia di metter su balenottere azzurre!
Secondo me il Generale è una meraviglia del mondo, al pari delle piramidi ma non è la creatura più lunga, è battuto da una Sequoia Sempervirens, un parente più snello, chiamata Hyperion che raggiunge i 115 metri.

Sotto due foto del Generale.



Quindi siamo tutti d'accordo? E il Generale il numero uno?
Ma...  non è detto.
Forse i veri giganti sono altri, ma meno spettacolari. Esiste, in effetti, un essere collettivo che si chiama Pando.

Pando vegeta da circa 80000 anni nello Utah.
Pando è un maschio ed è nato da un seme di pioppo. è cresciuto ed è divenuto un albero adulto e poi ha iniziato a riprodursi per clonazione. Ha allargato le proprie radici e da una di queste ha gemmato un ramoscello che, col tempo è divenuto a propria volta un nuovo albero di pioppo collegato al genitore, a lui identico, anzi tutt'uno con lui. Altri vegetali, ad esempio le fragole, utilizzano sistemi simili; queste ultime emettono stoloni, ossia fusti sotterranei striscianti, lungo i quali crescono nuove piantine.
La cosa è andata avanti così per millenni, perchè le peculiari condizioni del luogo hanno dato un grosso vantaggio alla specie di pioppo che è Pando rispetto a competitor come querce e conifere, quindi riprodursi per seme era uno spreco di energie.
Ora Pando è un enorme intrico di radici sotterranee che si estende per più di 16 ettari; da questa matassa emergono più o meno 47.000 pioppi, tutti identici ed in qualche modo collegati tra loro. Nei millenni molti tronchi sono morti ma altrettanti sono germinati e cresciuti. Alla fine la massa di Pando oltrepassa di molto quella del Generale.
Pando tecnicamente è un genet, una colonia clonale; ne esistono altri ma nessuno è grande e vecchio come Pando.
Quindi è Pando il numero uno? Come massa certamente sì ma come estensione no.

Esiste un fungo del genere Armillaria che copre un'area dell'Oregon di 8,9 km quadrati. E' un parassita degli alberi e fa crescere i suoi corpi fruttiferi, i basidii, sulla corteccia di questi e si pensa ne abbia seccato (letteralmente) più di qualcuno. è un mare di sottili micelii collegati tra loro ed aventi lo stesso materiale genetico.
Il fungo non è antico come Pando ma supera, si pensa, i 2500 anni ed in tutto questo tempo si è espanso, è cresciuto, e, a dispetto di ostacoli e predatori, è divenuto una lassa matassa che avvolge ogni radice ed assale le sue prede, gli alberi del territorio in cui si estende.

Pando ed Il fungo sono ad ora i big ones della vita biologica.
Forse se ne scopriranno di più grandi ma se, con uno sforzo, si sposa la visione di Lovelock, Gaia, che collega in un unicum tutti i biota terrestri, tutti i rapporti tra loro e le interazioni e feed-back con i cicli degli elementi chimici, si svela alfine il più grande di tutti gli organismi: il Pianeta.


Special mentions

Ci sono 3 creature non citate nel testo sopra che hanno colpito la mia fantasia per motivi diversi.
Una di esse, di recente scoperta, è un antico cetaceo cui hanno dato un nome particolarmente evocativo: Livyatan Melvillei.
Una sorta di orca + + con i denti più grandi (zanne degli elefanti escluse) della storia del mondo animale.





Il secondo era un placido sirenide, le cui due occupazioni nella vita erano riempirsi la pancia di sargassi e farsi i cazzi suoi: Hydrodamalis Gigas, ovverossia la vacca marina di Steller.
Fino a 8 metri di lunghezza, fino a 10 tonnellate di peso. Senza nemici naturali, finché non arrivammo noi.
Molto del loro tempo era passato a galleggiare nell'acqua a pancia in su, con la pelle glabra spessa come corteccia ed il grosso torso senza costole, ma con un pannicolo adiposo da far apparire un tricheco quale una mannequine.
Steller li descrisse come innocui animaloni in gruppi familiari allargati i cui membri erano fortemente legati, e morirono tutti.
Estinti in 30 anni.



La terza è Matusalemme, un Pinus Longaeva.
Non è grande, né spettacolare, anzi è un po' spelacchiato, ma ha quasi 5000 anni.
In realtà non è solo, è il più vecchio, forse, di una comunità di anziani che guardano il mondo con placida tranquillità e che crescono lentissimamente anche confronto agli altri alberi. Un circolo di longevi oltre ogni misura.

Devo alla fine contraddirmi... in questo caso le dimensioni non contano.





Appendice 1: Effetto della taglia sulla numerosità delle specie

La distribuzione della numerosità delle specie (non degli individui che, abbastanza prevedibilmente, risulta spostata verso quelle di piccola taglia per semplici ragioni geometriche) è riproducibile con un diagramma. Questa distribuzione, se si quantizza un'area abbastanza estesa, è rappresentata da un diagramma di questo tipo:
La distribuzione è tendenzialmente invariante mutando la zona di riferimento, anche se ci sono eccezioni come il Madagascar probabilmente per la mancanza di animali di grosse dimensioni o l'Europa di nord-est in cui le temperature gelide potrebbero favorire masse maggiori. In ogni caso la curva si normalizza se l'area considerata è sufficientemente piccola, perché? Non ne ho la minima idea. In definitiva quello che si può notare è che la speciazione opera molto di più sulle taglie medio-piccole. Non c'é accordo sulla causa ultima di questi dati. Si è supposto che la più rapida riproduzione delle specie di piccola taglia acceleri le "occasioni" di speciazione, oppure che ciò sia dovuto al fatto che le popolazioni di animali di massa ingente se non riescono ad espandere sufficentemente il proprio areale, necessitando di maggiori quantità di cibo, sono più a rischio di fenomeni di estinzione, o ancora che una popolazione di grande massa può per la facilità di dispersione volontaria consentire un flusso genico nella comunità che appiana le differenze (es. i milioni di gnu o di caribù che migrano assieme), e quindi diminuire nel tempo il tasso di speciazione, o infine che essere più piccoli consente di occupare più nicchie (ma la distribuzione ha un picco, non è solo discendente, quindi agiscono altri parametri tipo i limiti di massa raggiungibili per un mammifero).
Una cosa certa è che, se l'uomo agisce come causa selettiva, e succede sovente, le specie di grossa taglia selvatiche appaiono più sensibili all'azione di quest'ultimo vedi il crollo pleistocenico della megafauna cui l'uomo ha plausibilmente contribuito.
Ai giorni odierni la taglia piccola favorisce l'antropizzazione degli animali, vedi ratti e topi, volpi in UK o civette delle palme nelle megalopoli dell'estremo oriente. Questa selezione tende però a favorire numericamente singole specie di massa ridotta e non la loro speciazione.
In definitiva non si può però negare essere perlomeno plausibile che le alterazioni degli habitat operati dall'attività umana agiscano, come pressione di estinzione, più sulle specie di grandi dimensioni.

Appendice 2: Caffè Amaro

Dopo sto pesantissimo pippone vi propongo un inciso gossip sulla civetta delle palme che è questa:


Questo animalino ama nutrirsi delle bacche del caffè che sono rosse ed acidule. Il frutto viene consumato dai processi digestivi ma il seme no è viene espulso.
Un genio ha deciso di setacciare le cacche delle civette per ricavarne i semi di caffè verde che avendo subito questo irriproducibile trattamento biologico pre-tostatura risulterebbero avere un aroma unico ed inconfondibile. Il caffè in questione è il più costoso del mondo è si chiama Kopi Luwak.
Dicono sia meno amaro per il ehm... trattamento che ha subito.
D'altronde non saremmo nuovi nutrirci di cibi predigeriti: il miele viene rigurgitato dalle api, quindi è tecnicamente vomito, e la melata è miele raccolto dalla secrezione anale zuccherina degli afidi, processato e rigurgitato. Eppure la cosa non ci tange.

4 commenti:

  1. Leggendo questo post (ed i due precedenti, sui carnivori e sul volo) risulta evidente che la natura o meglio la Vita "se c'è un buco ci si infila"; non è pigra, le prova tutte, ogni strada viene percorsa. E figuriamoci quelle ancora non note o documentate. Il risultato è un processo di design incredibile.
    Complimenti anche per questo nuovo post, che ovviamente... è il più "grande" del blog!

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  2. Come sempre stupendo mi dai da cazzeggiare due settimane sulla wiki ad approfondire bestie immonde. Lo stampo e lo do pure a mio nipote.

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  3. comincia ad essere difficile starti dietro sia in qualita' che in dimensioni. per contro ora mi sento autorizzato a non pormi limiti quantitativi. la fatica fatta che vedo ti senti in dovere di esternare, e' di tutti quelli che ci mettono la voglia e passione. e direi ottimamente incanalata.

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