domenica 25 marzo 2018

LA BELLEZZA DEL MOSTRO (seconda parte)

Interviste con i vampiri

Un pipistrello svolazza inquieto all’interno di un maniero.
Improvvisamente si trasforma in un uomo riccamente agghindato che evoca una fanciulla in candide vesti.
Essa comincia ad aggirarsi come sonnambula, quindi sparisce.
L’uomo misterioso terrorizza due malcapitati visitatori con apparizioni di scheletri e vecchie megere, e alla fine arretra sconfitto e spaventato davanti ad una enorme croce.
L’anno e’ il 1897, ed il cortometraggio di soli tre minuti si chiama “Le manoir du diable”, ed e’ considerato il primo film horror della storia.
Anche se il regista, quel George Melies che fu vero pioniere della cinematografia mondiale ed autore del ben piu’ famoso “Viaggio nella luna” (1902), calca la mano sull’effetto grottesco come nella piu’ classica slapstik comedy, gli elementi ci sono già tutti : il pipistrello, il castello, la dama soggiogata, la croce come arma finale.
Il nostro succhiasangue preferito, aveva emesso il suo primo vagito.

L’essere che si nutre delle vite degli altri e sulle quali ha totale ed incontrastato potere ha fatto la sua apparizione nei secoli sotto le piu’ varie sembianze : una decadente aristocratica come la contessa ungherese Erzsebet Bathory (1560-1614) che faceva toeletta nel sangue delle sue malcapitate cortigiane, o un crudele condottiero come Vlad Tepes (1431-1476), cavaliere dell’ordine del Drago (da cui il nominativo Dracul e tutto cio’ che ne e’ conseguito) ed alfiere della cristianità’ nell’Europa occidentale di cui proteggeva i confini con vere e proprie muraglie di nemici impalati.
In questi oscuri periodi storici, dove il potere si credeva al di sopra di ogni giudizio umano e divino, spesso il mostro si nascondeva, pronto a liberare la propria selvaggia natura sicuro di godere di  impunibilita’.
 Per fortuna non era sempre cosi’ : la contessa vampira ad esempio, venne scoperta e murata viva per i suoi crimini.
Oggi, iconica presenza dalle molteplici chiavi di lettura, infesta cinema e letteratura con la sua decadente bellezza.

Nel periodo d'oro del cinema horror le case produttrici inglesi ed americane pareva si fossero salomonicamente spartiti i vari archetipi : gli inglesi, specializzandosi in films sui vampiri, gli americani sfruttando il mostro di Frankenstein e l'Uomo Lupo.
Con una illustre eccezione.
Nel 1931 Tod Browning  porta sullo schermo l'adattamento teatrale del romanzo di Stoker e, dopo la rinuncia di Lon Chaney (attore carismatico famoso per la sua versatilita' e protagonista assoluto dell'epoca del cinema muto), affida il ruolo del diabolico Conte a chi gia lo stava interpretando a teatro : il quarantenne attore di origini ungheresi Bela Lugosi, spalancandogli cosi' le porte del successo planetario.
Nonostante i numerosi films interpretati, fino al suo triste declino con l'apparizione in "Plan 9 from outer space"(1958) di Ed Wood, definito il “piu' brutto film della storia”, verra' in seguito ricordato soprattutto per questo suo primo ruolo, tanto che la famiglia volle che venisse seppellito con il suo fedele mantello rosso e nero.
La sua rappresentazione di Dracula e’ ben diversa dal mostro deforme del film di Murnau : spariti i canini appuntiti (che in Nosferatu lo facevano apparire come un ripugnante roditore) il suo fascino ipnotico era affidato solamente ai carismatici occhi, messi in evidenzia da una sapiente illuminazione.
Essi torneranno nella versione di Dracula piu' rappresentata, quella di  Cristopher Lee, con la bocca grondante sangue e lo sguardo folle ed affamato.
Il vampiro e’ forse il mostro che negli anni ha avuto le piu' varie trasformazioni, modificando stile e spirito a seconda del periodo storico a cui apparteneva.
Cosi’ l'essere contorto del film di Murnau e lo sguardo ipnotico di Bela Lugosi sono figli delle interpretazioni enfatiche e teatrali classiche del cinema muto e dei primi anni quaranta, mentre il Dracula della Hammer, poi ripreso nei fumetti da Marv Wolfman e Gene Colan, con la sua sanguigna carnalita’ e’ il tipico personaggio del cinema degli anni cinquanta /sessanta.

domenica 4 marzo 2018

LA BELLEZZA DEL MOSTRO (parte prima)

Bellezza e mostruosita' sembrano essere concetti agli antipodi.
Ce ne serviamo per definire la realta' in cui viviamo, ognuno condizionato dal proprio bagaglio di cultura ed esperienza.
In realta' sono spesso due facce della stessa medaglia ; quante volte abbiamo usato gli ossimori "mostruosa bellezza" o "bellezza mostruosa", dove i due termini si enfatizzano a vicenda.
Sono concetti semplicistici, ma con una potente forza intrinseca che cataloga e giudica, senza possibilita' di appello.
Ma mentre l'unico rischio che corre la bellezza e' quello di diventare un'ambizione, il povero vecchio mostro ha ancora da fare parecchia strada per sconfiggere preconcetti o paure e conquistarsi definitivamente il suo posto nel mondo.

 Evolutionary war 

 Ogni razza che tenta di progredire ha bisogno del suo mostro.
L'anomalia genetica, il fattore recessivo che improvvisamente decide di prendere il sopravvento, diventa la ciambella di salvataggio a cui aggrapparsi per tentare di sopravvivere in un habitat divenuto improvvisamente ostile.
La natura, nella sua opera di selezione, non si fa governare da canoni estetici, ma dal puro pragmatismo.
Solo il diverso (il piu' forte ed adattabile) ha speranza di sopravvivere, quando il normale non ce la fa piu'.
Quello stesso diverso che, in una societa' statica che non ha bisogno delle sue difese genetiche, e' considerato una anomalia da distruggere, un imbarazzo da nascondere, una mala pianta da estirpare. La tanto agognata (da alcuni) purezza della razza e' in realta' l'anticamera dell’estinzione.
Solo da un melting pot genetico puo' nascere l'uomo del domani, un ibrido che riesca a sintetizzare il meglio di ogni razza.
In un ipotetico futuro nel quale, dopo una guerra atomica globale, il mondo si trasformasse in una trappola mortale per noi indifesi normali, il mostro potrebbe diventare l'unica speranza per la vita sulla terra.
Forse solo gli scarafaggi (Kafka ci aveva visto giusto!), piccoli mostri emarginati, faranno parte di un possibile futuro.
Chi puo' dire poi che il tumore, che ora e' solo un alieno che si fa strada nel nostro corpo con l'unico risultato di distruggerlo, non sia soltanto il primo vagito incoerente di una nuova razza, un nuovo essere che semplicemente ancora non ha capito quale sia la giusta strada da percorrere?
Nella puntata n. 14 della quarta stagione del serial americano X-Files ("Leonard Betts"), un uomo, completamente composto da metastasi (di cui si nutre), e' divenuto immortale perche' esse gli permettono di rigenerare parti perdute del suo corpo.
Forse il nostro destino e' quello di diventare puri ammassi organici superadattabili, un po' come la Cosa del film di John Carpenter.
Anche lo xenomorfo di "Alien", mentre ci perfora il cranio con la sua seconda mascella, si rivela di essere nulla di piu’ che una "bellissima" ipotesi di adattativita' cosmica, la razza perfetta per conquistare lo spazio profondo.
Il mostro e' bello, il mostro e' utile.

 E il verbo si fece carne

 La carne e' inquieta, il mostro si trasforma e si adatta seguendo precise direttive.
A volte anche solo di cassetta.
Nella cinematografia horror di Frank Henenlotter, geniale e folle protagonista dei b-movie americani degli anni ottanta, il mostro e' gia' dentro di noi, e si manifesta nelle forme piu' svariate : il gemello siamese assassino di "Basket case" (1982), il parassita killer di "Brain Damage" (1988), fino alle follie biologiche di "Bad biology" (2008), che ha segnato il ritorno sulle scene di Hehenlotter, e che narra la storia di due anime gemelle (lei dotata di ben 7 clitoridi, lui con un enorme pene senziente) e del frutto del loro "amore".
E ancora sempre sullo stesso filone : la protagonista di "Teeth" di Mitchell Lichtenstein (figlio del piu' famoso Roy) del 2007, dove un drastico adattamento anatomico, una vagina dentata, diventa utile per difendersi dalla violenza del maschio alfa; oppure il blob di carne in cui una elite di riccastri si fonde durante festini orgiastici in "Society" (1989) di Brian Yuzna, grottesca messa alla berlina di una societa' oligarchica e spersonalizzante.
Ma forse colui che e' riuscito piu' efficacemente a rappresentare sullo schermo ogni forma possibile di mutazione e' David Cronenberg, tanto che i suoi films sono stati definiti come "Body horror".
"Il demone sotto la pelle" (1975), "Rabid" (1977), "Brood" (1979), "Videodrome" (1983), "La mosca" (1986) fino al catartico "Crash", sono viaggi lisergici dove la realta' si confonde con l'incubo e l'incubo diventa improvvisamente l'unica possibile realta', e dove il corpo si espande alla ricerca di nuovi territori da esplorare.
Ma questa cinematografia di esasperata espressione corporea (quasi una performance di body art), ha origine molto piu' ad est, nell'anarchia assoluta (e fertilissima di idee e suggestioni) del cinema orientale.
I giapponesi convivono da anni con l'incubo della mutazione genetica.
Il terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki (e delle centrali atomiche con cui convivono nel loro fragile territorio) oltre a piagarne lo spirito, ha profondamente modificato la loro visione del mondo.
Questa paura viene da loro esorcizzata tramite il fumetto (un po' tutta l'opera di Go Nagai) od il cinema, dove Gojira, il mostro atomico, ne e' l'esempio piu' eclatante.
Nell'immaginare scenari apocalittici dove i mostri e gli umani si contendono il dominio della terra, i registi giapponesi sono aiutati dalla loro concezione del mondo, dove il fantastico convive giornalmente con il reale.

In "Tetsuo" del regista giapponese Shin'ya Tsukamoto, si assiste alla graduale ed inorridita trasformazione di un uomo in una macchina, ed alla sua lotta per la sopravvivenza (il film ebbe due seguiti).
Mentre Tsukamoto sceglie una messa in scena molto piu' autoriale (il primo del 1989 e' girato in uno sperimentale ed ipercinetico bianco e nero), lo scorretto cinema di Hong Kong, da sempre piu' incline all'effettaccio gore in ogni sua declinazione, ne sfrutta gli aspetti grotteschi in opere decisamente piu' divertite come "Machine girl" (2008) e "Robogeisha" (2009) entrambi di Noboru Iguchi, oppure "Helldriver " (2010) dove il regista Yoshihiro Nishimura si inventa un nuovo tipo di zombi (vedere per credere).
Ognuno di loro, anche se con stili diversi, mette in scena la resa dell'uomo nei confronti della macchina, la fuga dalla carne e dalle sue debolezze emotive.
E per un popolo che fa fatica a gestire gli umani sentimenti, diventa quasi un'esperienza salvifica. Dentro la macchina, finalmente, sono banditi i doveri, l'onore, la pieta', l'orgoglio.
 Il mostro a volte e' anche rassicurante.

 Nel racconto di Clive Barker "In collina, le citta'", due turisti in vacanza in una sperduta cittadina della Jugoslavia assistono attoniti durante una festa locale ad una lotta tra due immensi giganti di carne, costruiti dall'unione degli abitanti di due paesi rivali, perfettamente uniti tra loro in una parodia (intrisa di sangue) dei robottoni di Go Nagai.
A volte il mostro entra a far parte del quotidiano, e noi finiamo per abituarci.
Questo e' il momento di cui potrebbero approfittare i Morlocks, relegati per la vergogna nei tunnel sotto la terra, per sorgere e riprendersi il mondo che gli abbiamo sottratto.
Il mostro  non e' sempre innocuo.