by Robo
Nanòk era partito in primavera proprio perché voleva
evitare il gelo. Ma sui passi montani un colpo di coda dell'inverno si
poteva incontrare e a lui capitò: una delle ultime tormente lo sorprese
in viaggio.
Era preparato. Gli stivali in cuoio tenevano i piedi all'asciutto
nonostante il bagnato che i fiocchi umidi e tardivi depositavano a terra
e il mantello di orso lo proteggeva dal freddo. Il problema era il
vento. Le folate aprivano varchi nel mantello e il gelo lo colpiva nel
costato come una spada. Era un uomo del nord abituato ai rigori ma si
rese conto che non avrebbe potuto resistere a lungo.
"Se non trovo un riparo per la notte, non posso farcela", pensò.
Deviò allora dal centro del sentiero che rappresentava la via più
diretta per superare la montagna e si spostò verso le macchie di
vegetazione in cui crescevano gli abeti. Ne cercò uno grande e vecchio;
sapeva come riconoscerlo perché gli alberi sofferenti hanno chiome rade e
sparute che contrastano con le dimensioni del loro tronco. Trovato un
candidato, spostò il mantello, estrasse la spada e, tenendola a
martello, iniziò a percuotere la corteccia con l’elsa finché un suono
sordo non gli indicò un vuoto nel tronco. Allora parlò ad alta voce:
"vecchio, ho bisogno del tuo corpo, non avercela con me". Usando la lama
vergò un colpo forte proprio in quel punto per rompere la scorza e poi
allargò il buco con le mani affinché fosse sufficiente ad accoglierlo.
Entrò con fatica e si accovacciò; il corpo muscoloso di Nanók dentro
quel tronco cavo ci stava a malapena, ma almeno era protetto dal vento.
Da sotto al mantello allungò con difficoltà un braccio fino a una sacca
attaccata alla cintura, la allentò e ne estrasse un pugno di carne secca
che consumò avidamente. Mise la testa tra le ginocchia e si addormentò.