By Robo
(prequel de La Maestra Sabrina)
L'uomo era sempre vissuto in quella casa. Almeno per quanto si
ricordava. Una casa in periferia, quadrata, con un cortile sul davanti
chiuso da uno steccato.
Non usciva mai, non ricordava l’ultima volta che lo aveva fatto, al
massimo si sedeva in cortile a guardare fuori, ad aspettare la sera. Il
cibo se lo faceva portare a casa. Non aveva bisogno di lavorare,
passava le giornate a guardare la tv e le notti con i suoi incubi.
Quando si coricava sapeva che avrebbe sognato. Ma i suoi sogni erano
popolati da sogni vividi e terribili, sempre gli stessi. C'erano gli
insetti giganti, il grillo canterino e la farfalla, animali carini per
carità ma alle loro dimensioni normali, mentre l'uomo li incontrava
grossi, veramente grossi e allora antenne, testa e addome diventavano
mostruosi e minacciosi e facevano dimenticare i colori delle ali o il
simpatico cri cri.
Poi c'erano i fiori, alti come piccoli alberi, che piegavano il
gambo e giravano le corolle sul volto dell'uomo quando questo gli
passava vicino inondandolo di un odore così dolce da risultare
nauseabondo, vomitevole. Il pezzo forte però era il pesce. Il pesce era
grande, più grande dell'uomo stesso e guizzava fuori, con le sue squame
lucenti e lo guardava in faccia, con quegli occhi da pesce lo guardava
dritto in faccia.
Ogni notte era un viaggio pauroso e sgradevole, ogni mattina un
sollievo. Ogni giorno una noia ma non avrebbe mai lasciato la casa. Non
poteva sfuggire ai sogni, quindi perché scappare? Almeno il giorno era
al sicuro lì dentro e la notte, anche la peggiore, sapeva che sarebbe
finita.
Chissà da quanto tempo andava avanti così… l'uomo non lo ricordava.
Poi le cose cambiarono.
Una mattina l'uomo stava strappando dei ciuffi di piante infestanti
quando sentì una vocina che lo chiamava: "signore. Signore". Era una
voce infantile e femminile. Avvicinandosi alla staccionata vide una
bambina piccola poco oltre il cancello. "Signore. Perché non gli dà un
nome?" disse la bambina carina. "Un nome? A chi?" rispose l'uomo. "Agli
animali!" rispose la bambina. Poi disse: "devo andare. Ciao signore" e
si allontanò. "Hei!" gridò l'uomo "ma tu chi sei?" ma ormai la bambina
si era allontanata. Quella sera mentre si coricava pensò al consiglio
della bambina e decise di provare a dare dei nomi ai suoi incubi
notturni. Trovò nomi banali che iniziassero con stessa lettera di quello
cui erano attribuiti, per esempio il grillo fu Gigi, il pesce fu Paolo,
con la farfalla non trovò nulla e optò per Raffaella e ai fiori diede
un nume di gruppo: le Margherite che era poi la cosa cui più
assomigliavano. Una volta prese le sue decisioni si addormentò. Quando
riaprì gli occhi era ancora disteso nel letto e la luce dell'alba
filtrava tra le assi della tapparella. "Non ho sognato?" Pensò, "ma non è
mai successo che non avessi un incubo da quando ho ricordo!", e mentre
si aggrovigliava in questi pensieri vide con la coda dell’occhio una
grossa sagoma nera e tondeggiante entrare in camera da letto dal
corridoio. La conosceva bene, gli aveva dato anche un nome buffo ma
prima era un mostro relegato nei suoi sogni ora era fisicamente nella
sua camera da letto. Rimase seduto sul letto, non osava scendere e, un
certo punto Gigi il grillo gigante sollevò la testa ai piedi del letto,
poggiò il primo paio di zampette sulla coperta e allungò le antenne
verso di lui fin quasi a toccarlo. Fuggì in bagno ma dalla vasca guizzò
fuori il pesce Paolo con le sue squame lucide che lo guardò dritto negli
occhi come faceva sempre. Allora andò in giardino e ci rimase tutto il
giorno finché non si fece di nuovo buio e si addormentò lì, tra l'erba e
la terra smossa. Si risvegliò di nuovo nel suo letto con un odore
nauseabondo che gli penetrava fin nel cervello, le margherite giganti
erano chinate sopra di lui.
Andò avanti così con risvegli in pieno giorno o con l’oscurità
ancora presente ma sempre, sempre nel suo letto. In qualunque posto si
fosse rifugiato, una volta addormento si risvegliava nella sua camera da
letto. A volte i suoi mostri lo perseguitavano, a volte non si facevano
vedere. Cominciò a non capire più cosa fosse incubo e cosa fosse reale.
Un mattino senza mostri, sogno o veglia che fosse, mentre era in
giardino risentì la voce della bambina. "Signore, signore. Come stai?
chiese la bambina". Lui si avvicinò al cancello e rispose: "peggio di
prima. Almeno sapevo che erano incubi e di giorno ero al sicuro. Ora non
distinguo più il sogno dalla realtà. Anche ora non so se tu sei vera,
bambina". "Be", rispose la bambina, "neanche io so se sono vera. Però ti
ho portato un regalo" e allungò il braccino verso l'alto. In mano aveva
una piatta valigetta di plastica azzurra, fece fatica a tirarla sù.
L'uomo la prese e la aprì. Era una scatola di colori a tempera. Alla
base c'erano i tubetti, verticali, ognuno nella propria nicchia,
parzialmente spremuti e curvati; sopra, uno di fianco all’altro, mezzi
accatastati, una decina di pennelli, tutti sporchi di colore e con le
setole appiccicate. Il lato aperto verso l'alto era stato usato come una
tavolozza ed era incrostato di tinte secche. "Ora che gli hai dato un
nome li devi disegnare. Ciao", disse la bambina e se ne andò.
Era una mattina luminosa e l'uomo si mise al lavoro. Cominciò da
sinistra con Gigi il grillo poi si spostò verso il centro e disegnò tre
margherite giganti. "Ne manca una" pensò e fece per spostarsi ancora
verso destra. "Accidenti, qui c'è la porta", notò. Allora passò oltre e
disegnò la quarta margherita nella parte destra del muro e poi si spostò
ancora per disegnare Raffaella la farfalla che con quelle grandi ali
occupava molto spazio. Si accorse che era rimasto abbastanza spazio per
qualcos’altro e gli mancava, in effetti, un solo animale. Ma Paolo il
pesce meritava un posto meno periferico, era il mostro che lo spaventava
di più. Si allontanò per avere una migliore visione d’insieme e poi
decise: "la porta. Lo disegno sulla porta" e così fece. Era l'imbrunire
quando terminò la sua opera e Paolo il pesce era veramente venuto bene.
Lo guardava dritto in faccia con quei suoi occhi grandi, non importava
se l'uomo si spostava, lo sguardo di Paolo il pesce lo perforava,
letteralmente. "É proprio lui", pensò l'uomo. Venne l'ora di andare a
dormire e mentre chiudeva gli occhi l'uomo si chiese se sarebbe cambiato
qualcosa. E qualcosa, in effetti, cambiò perché l'uomo non si
addormentò affatto, neanche per un minuto. In effetti accolse il mattino
ancora perfettamente sveglio. Non stanco, non nervoso o affranto, solo
sveglio. Non aveva sognato perché non aveva dormito. La sera del giorno
dopo la cosa si ripeté e poi di nuovo il giorno dopo ancora, e ancora e
ancora. Per una settimana l'uomo non chiuse occhio, si stendeva nel suo
letto la sera e si rialzava la mattina, pareva un più un comportamento
rituale che la risposta a un bisogno fisiologico. L'uomo si ricordava di
aver sentito di esperimenti di privazione del sonno negli animali e che
questi portavano a morte in breve tempo. Lui invece non soffriva di
nulla, anzi il tempo passava più piacevolmente senza doversi preoccupare
dei suoi mostri, ormai cristallizzati, imprigionati nei disegni sul
muro.
Un giorno, per curiosità, decise di smettere di telefonare al
supermercato per farsi portare il cibo. Non sapeva bene che aspettarsi,
magari semplicemente di aver fame. Invece, anche in questo caso, le cose
andarono in un altro modo: l’assenza di cibo, dopo una decina di giorni
non gli causava alcun problema. Non gli pareva neppure di essere
dimagrito, anche se non aveva mai fatto caso al proprio peso. Intanto
era ormai un mese che non dormiva. "Qui c'é qualcosa di strano", pensò
l'uomo, "cos’altro c'é che potrei provare?". Dormire, nutrirsi, cosa
mancava? "Respirare", pensò. Quel giorno stesso, una volta coricatosi,
smise di respirare e aspettò, aspettò che succedesse qualcosa. Anche
stavolta nulla: al mattino si alzò, come al solito, senza aver dormito,
digiuno e senza aver fatto, in sette ore, un solo atto respiratorio.
"Eppure sono vivo" pensò. Era molto confuso e uscì in giardino quel
mattino. "Signore. Signore come stai?" la voce ormai la conosceva e si
avvicinò al cancello, di fronte al quale, sorridente, lo aspettava la
bambina. "Ei, sei strano stamattina, che c'é?", chiese lei. L'uomo
riempi i polmoni per la prima volta dalla sera prima, doveva farlo se
voleva parlare. Gli fece uno strano effetto, come qualcosa di forzato e
meccanico, non necessario di per sé ma, in effetti, necessario per
emettere un qualsivoglia suono. Si era così rapidamente disabituato che
la prima parola gli uscì con la vocale molto più lunga del normale tanto
che da far ridere la bambina. "Hoooooo….ho smesso di dormire, di
mangiare e, da ieri sera anche di respirare. Eppure sto bene. Non so che
pensare", disse. "Neanche io" rispose la bambina, "le persone dormono,
mangiano e respirano. Forse non sei una persona. Come ti chiami?"
concluse la bambina. "Come mi chiamo? Come mi chiamo?", pensò l'uomo,
"come diavolo mi chiamo? Perché non lo ricordo?". Poi gli venne un'idea e
disse alla bambina: "guarda sotto al campanello. I ragazzi che mi
portavano da mangiare suonavano sempre lì. Sopra o sotto ci dev’essere
il mio nome".
La bambina strizzò gli occhi e guardò dove gli aveva indicato, e
guardò e guardò ma poi si arrese e disse: "no. Non c'é niente. Nessun
nome. Non hai un nome". Poi salutò e se ne andò, "ciao signore senza
nome. Io ce l'ho, mi chiamo Ginevra. Ciaooooo" fece per fargli verso.
L'uomo rientro in casa ancora più confuso. Forse il suo nome era da
qualche parte dentro casa. Sapeva che c'era un album di famiglia e lo
tirò fuori, non ricordava da quanto non lo aveva guardato. Lo trovò, lo
aprì e cominciò a sfogliarlo ma la cosa non lo aiutò. Vide tante foto,
cominciavano con un bambino piccolo, presumibilmente lui, e proseguivano
tracciando la vita di quel bambino; c'erano le foto con i genitori, le
foto di classe, le foto del bambino ormai ragazzo con alcuni amici, poi
le foto di una laurea con la mamma di prima, ormai invecchiata, che
piangeva, infine le foto di lui da adulto. Un matrimonio, evidentemente
finto male, foto con colleghi di lavoro in un ufficio, e infine una
foto di lui davanti all'uscio della sua casa.
Le foto di una vita, solo che quella vita l'uomo non la conosceva,
non ricordavo uno solo di quei momenti, non riconosceva una sola di
quelle persone, nessuna di quelle foto gli era minimamente familiare,
neppure l’ultima. Una galleria perfettamente costruita e plausibile ma
che gli risultava totalmente estranea. Ebbe un’illuminazione: "le
bollette! Le bollette! Lì ci dev'essere scritto il mio nome! Sono qui da
solo…". Le bollette erano domiciliate in banca ma i resoconti
arrivavano con continuità, li cestinava continuamente. Rovistò nel
cestino della cucina, che svuotava raramente, e ne trovò 2, una relativa
al consumo di gas ed elettricità e l'altra di acqua. Le raccolse,
dispiegò la carta accartocciata e cercò segni della propria identità.
Non trovò nulla. In effetti non c'era un nome, neppure un codice cliente
e, in entrambi i casi, neppure un qualche consumo, il pagamento
riguardava solo oneri di sistema. Era come se lui non esistesse.
Cercò allora resoconti bancari, doveva pur pagare in qualche modo
il cibo che si era fatto portare a casa! Non trovò nulla neppure in quel
caso. Sì arrese.
"Le persone dormono, mangiano e respirano", aveva detto la bambina,
"le persone esistono", pensò lui, "io no". Cosa successe poi é
difficile dirlo, forse fu questa nuova consapevolezza che fece svegliare
qualcuno o qualcosa da qualche parte e questo qualcuno o qualcosa smise
di sognare e l'uomo, semplicemente, scomparve. Ogni segno del suo
passaggio in questo mondo era come non ci fosse mai stato, con
un'eccezione, i disegni, quei vividi disegni sul muro esterno della
casa.
L’abitazione fu acquistata in seguito tramite un'asta pubblica e la
nuova proprietaria la scelse, tra le altre cose, proprio per i disegni.
Ginevra era intenta a giocare con la sua Barbie diversamente abile
quando la mamma la chiamò: "Gini. La mamma deve dirti una cosa. Vieni
qua". "Si mamma", rispose Ginevra e si avvicinò. "La Maestra Sabrina"
disse la mamma, "ha cambiato scuola. Io e il babbo abbiamo pensato di
seguirla. Ti farebbe piacere andare in questa nuova scuola della maestra
Sabrina?". "Oh sì! Sì mamma! Che bello! Che bello con i disegni!"
strillò allegramente Ginevra.
La mamma fece un cenno di assenso e sorrise. Mentre Ginevra si
allontanava saltellando pensò: "Disegni? Ma quali disegni? Boh!?".
Commento di MadPeaks
Grazie Robo. Ottenuto il tuo permesso vorrei aggiungere una mia postilla interpretativa al tuo immaginifico racconto.
L'uomo della storia è l'Uomo Primordiale, la cui coscienza oscilla tra
il mondo reale e sensibile (il giardino, il giorno) ed il mondo
interiore (la casa, la notte). Uno stato di partenza naturale, facciamo che sia quello dell'antropoide di 100.000 anni
fa.
Col tempo il suo cervello si amplia allargando le impressioni ed il mondo interiore. Il mondo reale continua a vivere seppur in forma distorta
nei suoi pensieri e nei suoi sogni. Da qui il parallelo con gli incubi della storia. La controindicazione del
ricordare e del saper prevedere è l'angoscia; deve essere quindi affrontata e compensata nei momenti di inattività tramite i sogni.
Sono comunque visioni fuori controllo. L'uomo allora inventa i nomi. Se ogni minaccia
è un nome, altri nomi protettivi possono difenderlo. L'attività
compensativa delle angosce si sposta così nello
stato di veglia: una battaglia di parole che sono a tutti gli effetti
pratiche magiche.
La fase dei nomi è quindi il momento in cui l'uomo scopre la magia, sviluppa le
religioni e le protezioni non materiali dalle minacce reali o immaginarie.
Ma anche c'è un effetto non gradito. I mostri sono ancora più presenti perché si sono spostati dal mondo evanescente dei sogni alla veglia in cui la memoria
registra cose.
Allora
l'uomo fa un altro passo avanti. Crea dei modelli, dei rapporti,
analizza i mostri, li seziona, li studia e poi li rappresenta. Il consiglio di dipingerli serve per definirli ed analizzarli, per farli diventare nozioni.
Il
disegno equivale alla conoscenza e la scomparsa dalla realtà degli animali "mostruosi"
significa che sono stati fissati nella corteccia, nel muro e nella porta.
Il pesce
Paolo mi sembra l'animale più importante; l'acqua rappresenta
l'inconscio, i pesci sono animali dell'inconscio. Paolo è un antenato
oramai, l'uomo con le sue tecniche ha svuotato (o meglio occultato dietre ad altri strati)
l'inconscio.
E quindi senza l'inconscio non è neanche più necessario dormire. L'uomo si trasforma lentamente in un cervello, in un
server che processa i dati.
Processare i dati consuma energia ma non
impegna gli strati profondi. Per questo nella storia scompare il sonno.
Come conseguenza di questa cerebralizzazione scompaiono anche le
esigenze biologiche. Mangiare, respirare. Il raccoglitore atavico aveva un rapporto diretto con la sua sussistenza fisica. Usava il suo
corpo per raccogliere quello che mangiava. Oggi l'uomo (industrializzato) può sopravvivere lavorando anche
solo col cervello. Impiegati, analisti, scrittori, insegnanti. La loro sussistenza dipende al 90% dal cervello e al 10% dai
muscoli. Si può lavorare dentro un loculo, senza muovere le chiappe
dalla sedia. Privilegiati o segregati sono stati liberati dalla fatica fisica e privati del rapporto causa-effetto con essa.
Continuando con il parallelo c'è uno step ulteriore: la perdita dell'individualità.
Il tuo nome diventa un codice che non ti identifica perché non esisti più. Non hai storia.
Praticamente sei diventato una cellula di un corpo più grande. Il tuo lavoro è
realizzare solo un brevissimo segmento iper specializzato di un processo
produttivo ed è giudicato attraverso pochi basici parametri legati alla larga o larghissima scala.
Nell'essere una funzione prevista da altri e sei
uguale a milioni di persone che fanno la stessa cosa. Un servizio, una
attività smateriallizata simile al software. L'inconscio è già invisibile da tempo, scompare anche l'hardware.
Allora sorge il dubbio: potresti essere tu stesso il sogno di
un altra entità.
Giunto a questo punto l'uomo rischia di dissolversi completamente nel
mare delle simulazioni. L'uomo della storia scompare.
La bambina Ginevra.
L'impressione iniziale è che sia una Mutante di classe Omega, con la capacità di manipolare i sogni :D
Nella
nostra interpretazione potrebbe essere proprio quella parte nuova di cervello che
ci rende "sapiens", che ci spinge sempre "oltre noi stessi".
Da un certo punto di vista fa progredire l'uomo...
ma resta il dubbio. Aiuta l'uomo? La sua natura è positiva, sia neutra... o pericolosa, malvagia e annichilente?
Significativo che si chiami come la città del CERN.
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