By Robo
Sabrina si era alzata presto, come al solito.
Come al solito non aveva dormito tanto. Negli ultimi tempi, però,
le ore di sonno ristoratore erano calate così tanto da renderle
difficile andare al lavoro.
Il lavoro però le piaceva, le era sempre piaciuto, così tanto da decidere di mettersi in proprio.
Con due colleghe aveva comprato una casa con giardino ai margini
della città e aveva messo su un asilo privato. Molti le avevano detto
che era matta a fare un passo del genere, a lasciare un posto sicuro in
un asilo pubblico e diventare una competitor del comune che, fino a un
attimo prima, era il suo datore di lavoro. Anche suo marito Fabio glielo
aveva detto.
Ma Sabrina, in realtà, aveva colto l’occasione. Ci si era
letteralmente buttata e il dopo pandemia le aveva dato ragione: c'era un
gran bisogno di posti dove parcheggiare i bambini e tra l’altro molte
mamme la stimavano e l'avevano seguita.
Però era tutto molto stressante e Sabrina ormai non dormiva più. Un
amico di Fabio che vendeva farmaci le aveva consigliato un prodotto
nuovo che non dava assuefazione e che stava andando molto forte; Sabrina
lo stava testando.
In effetti quella notte aveva dormito un poco di più, il problema è
che non aveva potuto prendere nessun caffè perché c'era una strana e
ancora inspiegata interferenza con la caffeina e, nel dubbio, l’azienda
produttrice lo aveva scritto chiaro e tondo sul bugiardino:
-controindicata l’assunzione di caffè e altre bevande contenenti
caffeina/teobromina-. "Neanche un tè, accidenti!" pensò Sabrina. Si
vestì, si truccò in fretta e scese in garage
Sabrina era in auto da un po’ e ormai l'asilo, il suo asilo, era vicino.
Lei e le sue due colleghe socie avevano investito in una casa in
aperta periferia. Un edificio quadrato di un solo piano con un bel
giardino davanti chiuso da uno steccato in legno, troppo basso per
impedire a un adulto di scavalcare ma sufficiente a tener dentro i
bambini quando li si mandava all’aperto. Il precedente proprietario era
un tipo strano perché aveva fatto disegnare sui muri esterni immagini di
animali e fiori, piuttosto inusuali a dire il vero ma estremamente
realistici, pur nello stile infantile con cui erano realizzati. I lavori
per adattare l’abitazione al nuovo utilizzo erano stati relativamente
semplici e constavano nell’abbattimento di alcuni muri per creare un
vasto ambiente per i bambini mentre era stata salvata la piccola cucina e
un bagno che erano stati solo modificati.
Parcheggiò l'auto senza difficoltà, uno dei vantaggi dei posti in
periferia, e si incamminò verso la casa per aprire il cancello; in quel
momento suonò il cellulare. Era una sua socia che le comunicava la
propria assenza per malattia: "Cosa? E perché non me lo hai detto
prima?" disse Sabrina un po’ stizzita, "come? Sono da sola? Dai ragazze
non è possibile fare così. Non posso gestire da sola tutti quei
bambini!" purtroppo era assente anche l'altra socia per un non ben
precisato problema. "Avete provato a chiamare la ragazza per le
sostituzioni orarie? Non è disponibile neanche lei? Ma insomma…" Sabrina
concluse la comunicazione bruscamente e cominciò a prepararsi all'idea
di rimanere, da sola, 12 ore di fila con i bambini. Anche se,
fortunatamente, non tutti rimanevano fino a sera.
Essendo poche erano abituate a fare turni lunghi ma avevano deciso
di essere sempre presenti in due, e Fabio gli aveva stampato un
"algoritmo dei turni" (come lo chiamava lui) affinché le fatiche fossero
distribuite il più equamente possibile, tenendo conto del fatto che i
turni mattutini erano più impegnativi di quelli pomeridiani. In caso di
assenze forzate potevano contattare una ragazza che pagavano a ore ma
questa volta pure lei non si era data disponibile. "Accidenti, almeno
dormissi bene" disse Sabrina ad alta voce mentre girava le chiavi nella
serratura del cancello. Entrò nel giardino in cui avevano disposto
alcuni giochi: due scivoli bassi, una tenda e una casetta di plastica,
niente altalene perché troppo pericolose per bambini in età da scuola
per l’infanzia. Proseguì fino alla porta di legno su cui era stato
pitturato un pesce bianco guizzante, grosso quanto una persona, con
grandi squame triangolari, "ci hanno fatto comodo tutte queste pitture",
pensò, "però il precedente proprietario doveva essere proprio strano".
Entrò, accese la luce e aprì le finestre, poi cominciò a mettere a posto
gli oggetti che riteneva in disordine. La sera, quando le mamme e i
papà tornavano a prendere gli ultimi bambini, non rimaneva molto tempo
per mettere a posto e quello che non si finiva lo si terminava la
mattina successiva. Passò in cucina a preparare le tazze dei bimbi e
mentre era lì sentì il rumore della prima auto che parcheggiava non
distante, così uscì ad accogliere la prima mamma.
"Ecco la tata Sabrina!" disse la prima mamma accompagnando Nicola.
Nicola era un bambino timido che sorrideva a fatica e parlava poco, in
pratica compensava sua madre che, invece, in quanto a sorrisi e parole,
non lesinava certo. "Ecco, adesso la tata Sabrina ti prepara la
colazione", disse prima di consegnarle Nicola. In realtà Sabrina non
sopportava di essere chiamata "tata", lei era una maestra dell’infanzia,
si sentiva una maestra dell’infanzia ma non poteva certo inimicarsi le
sue fonti di reddito ora che a far quadrare i conti non era più il
comune.
Di lì a poco arrivarono, praticamente tutti assieme, altri 5
bambini poi alla spicciolata tutti gli altri; nel frattempo Sabrina
entrava e usciva divisa tra l’accoglienza e la preparazione delle
colazioni. Per fortuna 3 bambini, per malattia o perché i genitori si
erano organizzati diversamente, non furono portati. "Vabbè", pensò
Sabrina, "meglio 12 che 15", tanto entravano gli stessi soldi visto che i
contratti erano mensili o settimanali; c'erano anche delle formule
una-tantum ma si pagava in anticipo, oltre che in contanti anche tramite
un'app che le aveva preparato Fabio, quel santo di suo marito.
Per ultima, come sempre, era arrivata Ginevra. Ginevra era la
bambina più intelligente che Sabrina avesse mai conosciuto, oltretutto
era anche molto carina e sapeva di esserlo. Era evidente da come si
atteggiava con gli adulti. Con gli altri bambini invece si comportava da
leader, organizzava i giochi e dava soprannomi.
Entro le nove Sabrina aveva raggruppato i bambini che dovevano fare
colazione attorno al tavolo, quelli che l'avevano fatta a casa erano
nella zona dei giochi, tutti a guardare e ascoltare Ginevra che
pontificava su qualcosa col suo solito carisma fanciullesco. Meglio
così.
Porta il latte e i biscotti, allunga le tazze e i cucchiai, sgrida
gli indisciplinati, riprendi le tazze e i cucchiai, sgrida gli
indisciplinati, pulisci il tavolo, rimetti a posto le sedie e…sgrida gli
indisciplinati. Dopo mezz’ora Sabrina era già stanca. Per fortuna era
una bella giornata e il giardino poteva accogliere i bambini, certo non
li si poteva lasciare da soli, bisognava stare con loro ma era comunque
un vantaggio.
Sabrina, con l'aiuto di Ginevra raggruppò il gruppo vociante e si
diresse fuori per organizzare i giochi. Il bel tempo fu un prezioso
alleato e così Ginevra. Il tempo passava e i bambini, in una bella
giornata come quella parevano andare a energia solare: praticamente
instancabili. Di norma anche Sabrina era praticamente instancabile ma
erano troppe notti che dormiva poco e male e il farmaco che stava
prendendo ci metteva circa una settimana prima di agire compiutamente,
così Sabrina decise di farsi un caffè. Massì! Che cavolo poteva fare un
caffè! E poi aveva assunto solo due compresse. Cavolo! Un caffè! Solo un
maledetto caffè!
Sabrina avvertì i bambini di non esagerare con i giochi e rientrò.
Andò nella piccola cucina e si preparò un caffè con la macchina per fare
l'espresso casalingo. Se lo sorseggiò come fosse ambrosia degli dei e
si fermò un attimo lì seduta a pensare.
"Ma ho fatto bene?. Se non lo facevo ora non lo avrei fatto mai
più. Però non deve più succedere una cosa del genere…io, da sola con più
di 10 bambini..non si può. Non si può…non si…….."
Sabrina si svegliò di soprassalto: "Oddio! Oddio! Mi sono
addormentata! Mio dio! Che ore sono? I bambini!". Sollevò con veemenza
la testa appoggiata al piano del tavolo e si alzò così in fretta che,
per il calo pressorio, per poco non rovinò a terra. Allora si fermò un
secondo appoggiandosi agli stipiti della porta della cucina, deglutì,
respirò profondamente e attese che la testa smettesse di girare, poi si
diresse fuori.
Mentre correva all'entrata non fece neppure caso a qualcosa di
strano e inusuale: dal giardino non proveniva alcun rumore. Quando fu
sul punto di uscire all’esterno, però, si fermò perché, di fronte a lei,
si svolgeva una scena che non aveva mai visto prima. A circa tre metri
dall'entrata i bambini si erano ammucchiati tutti attorno a qualcosa.
Costituivano una sorta di cumulo brulicante con quelli esterni che
cercavano di spingersi più dentro e quelli già dentro che cercavano di
tenere la posizione; si vedevano le braccine che uscivano dal cumulo e
poi vi rientravano, e le gambe di qualcuno ai margini che cercava di
strisciare al suolo per portarsi al centro. Questo sforzo comune era
totalmente silenzioso: non una parola, non un gemito, solo il rumore
delle scarpe quando perdevano la presa al suolo.
Tutti attorno meno uno, anzi una: Sabrina riconobbe di schiena
Ginevra che era in piedi tra lei e quel cumulo che sembrava ribollire. A
un certo punto, non si sa come, Ginevra avvertì la sua presenza e si
girò. In quel preciso istante il cumulo di bambini si dissolse e quelli,
a poco a poco, si allontanarono gli uni dagli altri e si girarono tutti
verso Sabrina. Lei inorridì. Tanto, tanto sangue, soprattutto attorno
alla bocca dei bambini, frammisto a pelo; qualcuno aveva in mano una
zampa di un'animale, qualcuno aveva tra i denti un pezzo di carne. Per
terra, dov'era il centro del cumulo era rimasta la testa di un gatto,
senza il corpo, sporca di sangue e saliva, con la bocca semiaperta e
senza gli occhi.
"Tata Sabrina" disse Ginevra, "povero gattino…" e assunse una sorta
di espressione dispiaciuta, poi sorrise "ora tocca a te". Sabrina non
attese gli eventi. Non che stesse lucidamente pianificando qualcosa,
tutt'altro. Era in preda al panico più totale e non stava capendo nulla
ma le sue gambe decisero per lei e la riportarono di corsa in cucina.
Una volta entrata giunse in aiuto anche un minimo di lucidità e Sabrina
invertì la corsa, tornò all'uscio della cucina e girò la chiave che era
nella toppa. Un attimo dopo si sentì un "burubum" contro la porta che
tremò fortemente ma non cedette. Un urto quasi all'unisono ma non del
tutto che si ripeté ancora e ancora ma sempre più debole e sempre meno
sincrono. Poi si sentì la voce di Ginevra: "tata Sabrina, come stai?",
un attimo di silenzio e poi, "tata Sabrinaa? Tata Sabrinaa? Perché non
ci apri?". Di nuovo silenzio.
Sabrina era ferma immobile, in piedi in mezzo alla piccola stanza.
Dopo qualche minuto che non si sentiva più nulla decise di avvicinarsi
alla porta e poggiò l'orecchio all'uscio. La vocina di Ginevra la prese
di sorpresa facendola trasalire: "tata Sabrina, se fai la cattiva ci
faremo molto male noi bambini. Apri tata Sabrina…" poi la voce cambiò
tono, "apri tata Sabrina! apri!! APRI!". A ogni richiesta il tono
diventava più basso e roco tanto che non sembrava più provenire da una
bambina piccola ma da qualcos’altro; Sabrina era completamente
terrorizzata.
Poi la voce tornò suadente: "va bene tata Sabrina, é colpa tua".
Sabrina sentì Ginevra chiamare Nicola e poi le sentì dire qualcosa che
non capì. Immediatamente dopo sentì un'altro urto sulla porta stavolta
singolo, poi silenzio, poi, poco dopo, di nuovo:"bum!". Ancora silenzio e
di lì a breve un altro urto. Tutto questo per quattro o cinque volte di
fila con una pausa sempre più lunga e poi più nulla fino che non tornò a
farsi viva la voce di Ginevra. "Povero Nicola…si è spaccato la testa,
te lo avevo detto Tata Sabrina che ci facevamo male noi bambini… oh
guarda, cos’è quella roba rossa che gli esce dalla testa? Umh! É morbida
e buona! Mangiamola tutta assieme bambini!"
Sabrina sentì i passi dei bambini che si avvicinavano e poi li
sentì mangiare qualcosa, poté immaginare cosa ma si concesse quel minimo
di dubbio per non impazzire poi sentì di nuovo la vocina di Ginevra:
"se ci apri, tata Sabrina, te ne diamo un po’ anche a te", disse con
tono divertito.
In mezzo a tutto quell'orrore, da qualche parte, nel cervello di
Sabrina, una scintilla di freddezza la soccorse. Notò che non tutti i
passi erano diventati più forti, alcuni si erano affievoliti come se
qualche bambino si stesse allontanando. Girò la testa e vide che la
tapparella della finestra della cucina, che dava sul cortile, era tirata
su. In quell'esatto momento sentì dei rumori venire da lì sotto come se
qualcuno stesse grattando il muro. Si gettò verso la corda della
tapparella e la tirò verso di se on tutta la sua forza e poi la lasciò
andare. La tapparella crollò sul davanzale e una manina rimase
intrappolata lì sotto. Sabrina vedeva le piccole dita agitarsi,
sembravano cinque piccoli vermi in trappola. Il bambino doveva essere
rimasto bloccato con i piedi per aria, perché il davanzale era troppo
alto perché potesse toccare terra ma, anche questa volta, non si sentì
un gemito o un pianto, niente di niente. Poi ancora la vocina di
Ginevra: "cattiva tata Sabrina. Pensa quando arrivano le mamme e i papà.
E tutti i bambini feriti daranno la colpa a te, sei tu che ci fai del
male", seguì una risatina. Invece di suscitare altre paure questa frase,
chissà mai perché, stimolò il senso pratico di Sabrina che si ritrovò a
pensare: "ma che ora é? Devo preparare il pranzo per i bambini". Fece
per girare la testa verso l’orologio a muro ma non riuscì a completare
il movimento, tutto divenne nero.
Sabrina riaprì gli occhi a fatica. Di fronte a lei c'era suo marito
Fabio che la guardava con un misto di sollievo e di rimprovero. Lei si
guardò attorno, era in un letto di ospedale, con una flebo in vena,
attaccata a una macchina che monitorava i battiti cardiaci. Per qualche
secondo non capì nulla ma quando i ricordi arrivarono tutti assieme si
mise a piangere. Fabio allora le parlò: "sei stata molto imprudente. Lo
sapevi che non dovevi assumere caffeina in nessuna forma. Roberto ci
aveva chiaramente spiegato che era pericoloso…ma non avete un cazzo di
caffè deca in quella cucina?" Sabrina rimase a bocca aperta, ma di cosa
stava parlando Fabio?
"Ti hanno trovata svenuta in cucina le mamme dell'una venute a
prendere i bambini. Erano spaventatissimi. Tutti attorno a te ma non
riuscivano a svegliarti e piangevano disperati. I genitori di Nicola mi
hanno detto che non ha aperto bocca fina a sera e Ginevra non smetteva
di piangere", proseguì Fabio.
Nicola vivo? Ginevra? Ma cos'era successo? Solo un incubo vivido causato da un’interazione farmacologica?
In quel momento entrò un'infermiera con in mano un cordless:
"scusate" disse, "c'é una bambina che vuol parlare con la maestra e
allungò a Fabio il telefono. Lui lo portò all’orecchio, disse qualche
parola e poi lo passò a Sabrina dicendo: "é per te. I tuoi bambini ti
vogliono bene". Sabrina portò lentamente la cornetta all’orecchio "si?",
disse con voce tremante. Un tono suadente da fanciulla le rispose
dall'altra parte, Sabrina riconobbe subito Ginevra: "tata Sabrina, come
stai?", disse.
Sabrina riuscì solo a rabbrividire.
Commento by MadPeaks:
Robo, a questo punto serve il prequel con approfondimenti sul vecchio proprietario della casa in periferia...
Disponibile qui: La casa con i disegni sul muro
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