sabato 6 agosto 2022

La Maestra Sabrina

 By Robo

Sabrina si era alzata presto, come al solito.
Come al solito non aveva dormito tanto. Negli ultimi tempi, però, le ore di sonno ristoratore erano calate così tanto da renderle difficile andare al lavoro.
Il lavoro però le piaceva, le era sempre piaciuto, così tanto da decidere di mettersi in proprio.
Con due colleghe aveva comprato una casa con giardino ai margini della città e aveva messo su un asilo privato. Molti le avevano detto che era matta a fare un passo del genere, a lasciare un posto sicuro in un asilo pubblico e diventare una competitor del comune che, fino a un attimo prima, era il suo datore di lavoro. Anche suo marito Fabio glielo aveva detto.
Ma Sabrina, in realtà, aveva colto l’occasione. Ci si era letteralmente buttata e il dopo pandemia le aveva dato ragione: c'era un gran bisogno di posti dove parcheggiare i bambini e tra l’altro molte mamme la stimavano e l'avevano seguita.
Però era tutto molto stressante e Sabrina ormai non dormiva più. Un amico di Fabio che vendeva farmaci le aveva consigliato un prodotto nuovo che non dava assuefazione e che stava andando molto forte; Sabrina lo stava testando.
In effetti quella notte aveva dormito un poco di più, il problema è che non aveva potuto prendere nessun caffè perché c'era una strana e ancora inspiegata interferenza con la caffeina e, nel dubbio, l’azienda produttrice lo aveva scritto chiaro e tondo sul bugiardino: -controindicata l’assunzione di caffè e altre bevande contenenti caffeina/teobromina-. "Neanche un tè, accidenti!" pensò Sabrina. Si vestì, si truccò in fretta e scese in garage

Sabrina era in auto da un po’ e ormai l'asilo, il suo asilo, era vicino.
Lei e le sue due colleghe socie avevano investito in una casa in aperta periferia. Un edificio quadrato di un solo piano con un bel giardino davanti chiuso da uno steccato in legno, troppo basso per impedire a un adulto di scavalcare ma sufficiente a tener dentro i bambini quando li si mandava all’aperto. Il precedente proprietario era un tipo strano perché aveva fatto disegnare sui muri esterni immagini di animali e fiori, piuttosto inusuali a dire il vero ma estremamente realistici, pur nello stile infantile con cui erano realizzati. I lavori per adattare l’abitazione al nuovo utilizzo erano stati relativamente semplici e constavano nell’abbattimento di alcuni muri per creare un vasto ambiente per i bambini mentre era stata salvata la piccola cucina e un bagno che erano stati solo modificati.
Parcheggiò l'auto senza difficoltà, uno dei vantaggi dei posti in periferia, e si incamminò verso la casa per aprire il cancello; in quel momento suonò il cellulare. Era una sua socia che le comunicava la propria assenza per malattia: "Cosa? E perché non me lo hai detto prima?" disse Sabrina un po’ stizzita, "come? Sono da sola? Dai ragazze non è possibile fare così. Non posso gestire da sola tutti quei bambini!" purtroppo era assente anche l'altra socia per un non ben precisato problema. "Avete provato a chiamare la ragazza per le sostituzioni orarie? Non è disponibile neanche lei? Ma insomma…" Sabrina concluse la comunicazione bruscamente e cominciò a prepararsi all'idea di rimanere, da sola, 12 ore di fila con i bambini. Anche se, fortunatamente, non tutti rimanevano fino a sera.
Essendo poche erano abituate a fare turni lunghi ma avevano deciso di essere sempre presenti in due, e Fabio gli aveva stampato un "algoritmo dei turni" (come lo chiamava lui) affinché le fatiche fossero distribuite il più equamente possibile, tenendo conto del fatto che i turni mattutini erano più impegnativi di quelli pomeridiani. In caso di assenze forzate potevano contattare una ragazza che pagavano a ore ma questa volta pure lei non si era data disponibile. "Accidenti, almeno dormissi bene" disse Sabrina ad alta voce mentre girava le chiavi nella serratura del cancello. Entrò nel giardino in cui avevano disposto alcuni giochi: due scivoli bassi, una tenda e una casetta di plastica, niente altalene perché troppo pericolose per bambini in età da scuola per l’infanzia. Proseguì fino alla porta di legno su cui era stato pitturato un pesce bianco guizzante, grosso quanto una persona, con grandi squame triangolari, "ci hanno fatto comodo tutte queste pitture", pensò, "però il precedente proprietario doveva essere proprio strano". Entrò, accese la luce e aprì le finestre, poi cominciò a mettere a posto gli oggetti che riteneva in disordine. La sera, quando le mamme e i papà tornavano a prendere gli ultimi bambini, non rimaneva molto tempo per mettere a posto e quello che non si finiva lo si terminava la mattina successiva. Passò in cucina a preparare le tazze dei bimbi e mentre era lì sentì il rumore della prima auto che parcheggiava non distante, così uscì ad accogliere la prima mamma.
"Ecco la tata Sabrina!" disse la prima mamma accompagnando Nicola. Nicola era un bambino timido che sorrideva a fatica e parlava poco, in pratica compensava sua madre che, invece, in quanto a sorrisi e parole, non lesinava certo. "Ecco, adesso la tata Sabrina ti prepara la colazione", disse prima di consegnarle Nicola. In realtà Sabrina non sopportava di essere chiamata "tata", lei era una maestra dell’infanzia, si sentiva una maestra dell’infanzia ma non poteva certo inimicarsi le sue fonti di reddito ora che a far quadrare i conti non era più il comune.
Di lì a poco arrivarono, praticamente tutti assieme, altri 5 bambini poi alla spicciolata tutti gli altri; nel frattempo Sabrina entrava e usciva divisa tra l’accoglienza e la preparazione delle colazioni. Per fortuna 3 bambini, per malattia o perché i genitori si erano organizzati diversamente, non furono portati. "Vabbè", pensò Sabrina, "meglio 12 che 15", tanto entravano gli stessi soldi visto che i contratti erano mensili o settimanali; c'erano anche delle formule una-tantum ma si pagava in anticipo, oltre che in contanti anche tramite un'app che le aveva preparato Fabio, quel santo di suo marito.
Per ultima, come sempre, era arrivata Ginevra. Ginevra era la bambina più intelligente che Sabrina avesse mai conosciuto, oltretutto era anche molto carina e sapeva di esserlo. Era evidente da come si atteggiava con gli adulti. Con gli altri bambini invece si comportava da leader, organizzava i giochi e dava soprannomi.
Entro le nove Sabrina aveva raggruppato i bambini che dovevano fare colazione attorno al tavolo, quelli che l'avevano fatta a casa erano nella zona dei giochi, tutti a guardare e ascoltare Ginevra che pontificava su qualcosa col suo solito carisma fanciullesco. Meglio così.
Porta il latte e i biscotti, allunga le tazze e i cucchiai, sgrida gli indisciplinati, riprendi le tazze e i cucchiai, sgrida gli indisciplinati, pulisci il tavolo, rimetti a posto le sedie e…sgrida gli indisciplinati. Dopo mezz’ora Sabrina era già stanca. Per fortuna era una bella giornata e il giardino poteva accogliere i bambini, certo non li si poteva lasciare da soli, bisognava stare con loro ma era comunque un vantaggio.
Sabrina, con l'aiuto di Ginevra raggruppò il gruppo vociante e si diresse fuori per organizzare i giochi. Il bel tempo fu un prezioso alleato e così Ginevra. Il tempo passava e i bambini, in una bella giornata come quella parevano andare a energia solare: praticamente instancabili. Di norma anche Sabrina era praticamente instancabile ma erano troppe notti che dormiva poco e male e il farmaco che stava prendendo ci metteva circa una settimana prima di agire compiutamente, così Sabrina decise di farsi un caffè. Massì! Che cavolo poteva fare un caffè! E poi aveva assunto solo due compresse. Cavolo! Un caffè! Solo un maledetto caffè!
Sabrina avvertì i bambini di non esagerare con i giochi e rientrò. Andò nella piccola cucina e si preparò un caffè con la macchina per fare l'espresso casalingo. Se lo sorseggiò come fosse ambrosia degli dei e si fermò un attimo lì seduta a pensare.
"Ma ho fatto bene?. Se non lo facevo ora non lo avrei fatto mai più. Però non deve più succedere una cosa del genere…io, da sola con più di 10 bambini..non si può. Non si può…non si…….."

Sabrina si svegliò di soprassalto: "Oddio! Oddio! Mi sono addormentata! Mio dio! Che ore sono? I bambini!". Sollevò con veemenza la testa appoggiata al piano del tavolo e si alzò così in fretta che, per il calo pressorio, per poco non rovinò a terra. Allora si fermò un secondo appoggiandosi agli stipiti della porta della cucina, deglutì, respirò profondamente e attese che la testa smettesse di girare, poi si diresse fuori.
Mentre correva all'entrata non fece neppure caso a qualcosa di strano e inusuale: dal giardino non proveniva alcun rumore. Quando fu sul punto di uscire all’esterno, però, si fermò perché, di fronte a lei, si svolgeva una scena che non aveva mai visto prima. A circa tre metri dall'entrata i bambini si erano ammucchiati tutti attorno a qualcosa. Costituivano una sorta di cumulo brulicante con quelli esterni che cercavano di spingersi più dentro e quelli già dentro che cercavano di tenere la posizione; si vedevano le braccine che uscivano dal cumulo e poi vi rientravano, e le gambe di qualcuno ai margini che cercava di strisciare al suolo per portarsi al centro. Questo sforzo comune era totalmente silenzioso: non una parola, non un gemito, solo il rumore delle scarpe quando perdevano la presa al suolo.
Tutti attorno meno uno, anzi una: Sabrina riconobbe di schiena Ginevra che era in piedi tra lei e quel cumulo che sembrava ribollire. A un certo punto, non si sa come, Ginevra avvertì la sua presenza e si girò. In quel preciso istante il cumulo di bambini si dissolse e quelli, a poco a poco, si allontanarono gli uni dagli altri e si girarono tutti verso Sabrina. Lei inorridì. Tanto, tanto sangue, soprattutto attorno alla bocca dei bambini, frammisto a pelo; qualcuno aveva in mano una zampa di un'animale, qualcuno aveva tra i denti un pezzo di carne. Per terra, dov'era il centro del cumulo era rimasta la testa di un gatto, senza il corpo, sporca di sangue e saliva, con la bocca semiaperta e senza gli occhi.
"Tata Sabrina" disse Ginevra, "povero gattino…" e assunse una sorta di espressione dispiaciuta, poi sorrise "ora tocca a te". Sabrina non attese gli eventi. Non che stesse lucidamente pianificando qualcosa, tutt'altro. Era in preda al panico più totale e non stava capendo nulla ma le sue gambe decisero per lei e la riportarono di corsa in cucina. Una volta entrata giunse in aiuto anche un minimo di lucidità e Sabrina invertì la corsa, tornò all'uscio della cucina e girò la chiave che era nella toppa. Un attimo dopo si sentì un "burubum" contro la porta che tremò fortemente ma non cedette. Un urto quasi all'unisono ma non del tutto che si ripeté ancora e ancora ma sempre più debole e sempre meno sincrono. Poi si sentì la voce di Ginevra: "tata Sabrina, come stai?", un attimo di silenzio e poi, "tata Sabrinaa? Tata Sabrinaa? Perché non ci apri?". Di nuovo silenzio.
Sabrina era ferma immobile, in piedi in mezzo alla piccola stanza. Dopo qualche minuto che non si sentiva più nulla decise di avvicinarsi alla porta e poggiò l'orecchio all'uscio. La vocina di Ginevra la prese di sorpresa facendola trasalire: "tata Sabrina, se fai la cattiva ci faremo molto male noi bambini. Apri tata Sabrina…" poi la voce cambiò tono, "apri tata Sabrina! apri!! APRI!". A ogni richiesta il tono diventava più basso e roco tanto che non sembrava più provenire da una bambina piccola ma da qualcos’altro; Sabrina era completamente terrorizzata.
Poi la voce tornò suadente: "va bene tata Sabrina, é colpa tua". Sabrina sentì Ginevra chiamare Nicola e poi le sentì dire qualcosa che non capì. Immediatamente dopo sentì un'altro urto sulla porta stavolta singolo, poi silenzio, poi, poco dopo, di nuovo:"bum!". Ancora silenzio e di lì a breve un altro urto. Tutto questo per quattro o cinque volte di fila con una pausa sempre più lunga e poi più nulla fino che non tornò a farsi viva la voce di Ginevra. "Povero Nicola…si è spaccato la testa, te lo avevo detto Tata Sabrina che ci facevamo male noi bambini… oh guarda, cos’è quella roba rossa che gli esce dalla testa? Umh! É morbida e buona! Mangiamola tutta assieme bambini!"
Sabrina sentì i passi dei bambini che si avvicinavano e poi li sentì mangiare qualcosa, poté immaginare cosa ma si concesse quel minimo di dubbio per non impazzire poi sentì di nuovo la vocina di Ginevra: "se ci apri, tata Sabrina, te ne diamo un po’ anche a te", disse con tono divertito.
In mezzo a tutto quell'orrore, da qualche parte, nel cervello di Sabrina, una scintilla di freddezza la soccorse. Notò che non tutti i passi erano diventati più forti, alcuni si erano affievoliti come se qualche bambino si stesse allontanando. Girò la testa e vide che la tapparella della finestra della cucina, che dava sul cortile, era tirata su. In quell'esatto momento sentì dei rumori venire da lì sotto come se qualcuno stesse grattando il muro. Si gettò verso la corda della tapparella e la tirò verso di se on tutta la sua forza e poi la lasciò andare. La tapparella crollò sul davanzale e una manina rimase intrappolata lì sotto. Sabrina vedeva le piccole dita agitarsi, sembravano cinque piccoli vermi in trappola. Il bambino doveva essere rimasto bloccato con i piedi per aria, perché il davanzale era troppo alto perché potesse toccare terra ma, anche questa volta, non si sentì un gemito o un pianto, niente di niente. Poi ancora la vocina di Ginevra: "cattiva tata Sabrina. Pensa quando arrivano le mamme e i papà. E tutti i bambini feriti daranno la colpa a te, sei tu che ci fai del male", seguì una risatina. Invece di suscitare altre paure questa frase, chissà mai perché, stimolò il senso pratico di Sabrina che si ritrovò a pensare: "ma che ora é? Devo preparare il pranzo per i bambini". Fece per girare la testa verso l’orologio a muro ma non riuscì a completare il movimento, tutto divenne nero.

Sabrina riaprì gli occhi a fatica. Di fronte a lei c'era suo marito Fabio che la guardava con un misto di sollievo e di rimprovero. Lei si guardò attorno, era in un letto di ospedale, con una flebo in vena, attaccata a una macchina che monitorava i battiti cardiaci. Per qualche secondo non capì nulla ma quando i ricordi arrivarono tutti assieme si mise a piangere. Fabio allora le parlò: "sei stata molto imprudente. Lo sapevi che non dovevi assumere caffeina in nessuna forma. Roberto ci aveva chiaramente spiegato che era pericoloso…ma non avete un cazzo di caffè deca in quella cucina?" Sabrina rimase a bocca aperta, ma di cosa stava parlando Fabio?
"Ti hanno trovata svenuta in cucina le mamme dell'una venute a prendere i bambini. Erano spaventatissimi. Tutti attorno a te ma non riuscivano a svegliarti e piangevano disperati. I genitori di Nicola mi hanno detto che non ha aperto bocca fina a sera e Ginevra non smetteva di piangere", proseguì Fabio.
Nicola vivo? Ginevra? Ma cos'era successo? Solo un incubo vivido causato da un’interazione farmacologica?
In quel momento entrò un'infermiera con in mano un cordless: "scusate" disse, "c'é una bambina che vuol parlare con la maestra e allungò a Fabio il telefono. Lui lo portò all’orecchio, disse qualche parola e poi lo passò a Sabrina dicendo: "é per te. I tuoi bambini ti vogliono bene". Sabrina portò lentamente la cornetta all’orecchio "si?", disse con voce tremante. Un tono suadente da fanciulla le rispose dall'altra parte, Sabrina riconobbe subito Ginevra: "tata Sabrina, come stai?", disse.
Sabrina riuscì solo a rabbrividire.
 
Commento by MadPeaks:
Robo, a questo punto serve il prequel con approfondimenti sul vecchio proprietario della casa in periferia... 
 

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