giovedì 5 febbraio 2015

L'informatore

Lo vedo laggiù’ in fondo, tra due lunghe file di macchine parcheggiate, figura sbilenca incappucciata da una corona di candidi capelli che scintillano nella luce del tramonto. Arranca in precario equilibrio tra una grossa borsa sulla destra e un equivalente enorme sacchetto strapieno sulla sinistra, si muove con stanchezza verso la meta, che solo lui conosce, ma che, si vede anche da lontano, brama e desidera come un Ulisse la sua Itaca dopo mille odissee. Anche per me e' stata una giornata pesante , ma qualcosa in quell'omino curvo sui propri pensieri mi stringe il cuore e comunica un bisogno di contatto umano che mi spinge ad avvicinarmi. Per cui lo raggiungo in pochi passi, e gli batto un dito sulla spalla con estrema cautela, scuotendolo dai mille profondi pensieri in cui si e' avvolto.

  “Mi scusi..” sussurro.
 Egli sobbalza, girandosi verso di me con aria colpevole.
 ” Sisi... i dati vendita sono inaccettabili... ma sicuramente il mese prossimo..”.
 “No senta, non vorrei disturbarla...”.
 Egli si ferma e pare riconoscermi.
  “Ah, si dottore, certo dottore...”.
  “Ehm, no non sono dottore...”.
  “Nono..certo, mi scusi dottore...”.
Ok, rinuncio ed accetto questo dialogo surreale.
  “Va bene, non si preoccupi. Volevo solo invitarla a bere un caffè”.
  “Certo dottore, ci mancherebbe. Vedra',  le rubo solo due minutini.”
Sembra confuso, le parole gli escono a raffica, in maniera automatica, non rivolte a me ma ad un indistinto altrui. Poi sembra improvvisamente aver capito, si immobilizza colpito dalla mia gentilezza che lo ha piacevolmente sorpreso e mi sorride. Allora lo prendo per un braccio gentilmente, e lo conduco verso il bar piu'  vicino.
 Egli non molla le sue due preziosissime borse ma mi segue docilmente. Tutto cio' suona molto strano mi rendo conto, ma scivola via naturalmente, come se ci conoscessimo da sempre, come una riunione di vecchi amici, anche i silenzi mentre ci incamminiamo, tutto sembra perfetto.
Il bar e' semivuoto, pochi tavolini liberi e soprattutto niente musica lounge. Per cui e' facile dopo aver ordinato iniziare la nostra piccola conversazione. Ogni tanto sbircio incuriosito dentro le sue due borse fitte di scatolette colorate, di carta patinata, di piccole buste traslucide. L'omino e' rilassato, sembra finalmente dopo lunghissimo tempo, e prende subito confidenza.
Cosi dopo pochi convenevoli comincia a raccontarmi la propria giornata lavorativa.
  “Non e' facile dottore , mi creda, oggi la gente sembra come impazzita. Tutti hanno fretta e nessun rispetto per noi che in fondo cerchiamo solo di fare il nostro lavoro. Le difficolta' si sono moltiplicate, e sbarcare il lunario ormai e' quasi impossibile. Non sono pero' queste a spaventarmi, non lo sono mai state, ma ormai mi uccide la mancanza di educazione, il disprezzo che vedo sempre piu’ spesso negli occhi di chi mi guarda quando chiedo un attimo della loro pazienza, e  l'indifferenza di chi dovrebbe riconoscere il mio lavoro con qualche prescrizione e invece se ne frega. Siamo ormai come ombre che camminano, i viaggiatori, i commessi, a volte ci chiamano in modi ben peggiori, ma non e' sempre stato cosi'. Ricordo quando iniziai, eravamo in pochi e rispettati. Il nostro arrivo era una piccola festa, un momento di relax, e non era raro che avessimo la precedenza su tutti accompagnati da un -Prego signor dottore!- che oggi e' stato sostituito da improperi e maledizioni masticate tra i denti. Sembrano mille anni fa, ma la giacca e la cravatta che indossavamo erano la divisa di un lavoro pulito, simbolo se si vuole anche di un privilegio. Certo, non tutto era cosi' lindo e idilliaco, ma questa e' un' altra storia. Ora quella divisa e' solo una ridicola armatura che ci fa riconoscere a distanza, come il rompiscatole, la grana, l'inutile imprevisto. I colleghi sono sempre piu' scorretti, i datori di lavoro, la grande famiglia come si sono sempre autoproclamati, ma che un tempo assomigliava molto a qualcosa a cui orgogliosamente appartenere, ora invece e' un'impersonale macchina da guerra che ti usa e ti distrugge a suo piacimento. Non le nego dottore che sono stanco, ho perso la voglia di lottare ed ogni mattina quando mi alzo da letto e' una tortura, e mi viene il vomito a pensare a cio' che mi aspetta. Era il piu' bel lavoro del mondo, almeno per noi, oggi e' un ingombrante cilicio che non mi abbandona mai, nemmeno durante i momenti di relax.” .
 Lo lascio parlare sembra proprio che ne abbia un bisogno fisico.
  “Ce li abbiamo tutti contro, opinione pubblica, mass media, siamo diventati il capro espiatorio di tutte le schifezze che hanno fatto negli anni. E dire che in fondo abbiamo sempre avuto  una certa utilita' sociale, facciamo del bene certo non per ragioni altruistiche, ma nessuno e' perfetto. Ormai aspetto solo di andare in pensione con quel po' di dignita' che mi resta e speriamo bene.”.
Silenzio. Il bar si sta vuotando e la cassiera batte nervosa la matita sul registratore di cassa, guardandoci con insistenza. Ormai si e' fatto tardi per entrambi, e dopo una breve schermaglia per decidere chi avrebbe pagato la consumazione, ne esco vincitore e il nostro breve incontro finisce qui.
Usciamo nell'aria gelida della sera e, dopo un breve saluto lo guardo allontanarsi nella luce dei lampioni , piccola figurina che mi immagino incorniciata in un cerchio che gli si stringe addosso come nei finali di vecchi cartoni animati della Warner, come nei  films di Chaplin, fino a svanire nel nulla come non fosse mai esistito se non nei pensieri della gente come me.
Rimango per un attimo immobile in silenzio, poi estraggo dalla mia borsa un taccuino in pelle e scrivo poche righe:
  -Soggetto depresso. Punto. Ormai privo di motivazioni. Punto.-
 L'avevo seguito per tutto il giorno ma alla fine quell'intuizione di avvicinarlo per parlargli era stata davvero geniale. Ora ho un quadro completo e so cosa fare. Riprendo a scrivere:
  -Risulta dalle mie analisi che il suddetto e' ormai privo di alcuna utilita' per la ditta', quindi consiglio il suo inserimento negli elenchi degli esuberi e suo conseguente allontanamento a favore di soggetti piu' motivati ed attrattivi. Punto.-
Un po' mi dispiace dopo averlo conosciuto meglio, ma in fondo era inevitabile, nessuno ormai si puo' piu' permettere pesi morti improduttivi. Bene, sono soddisfatto. Ho portato a termine il mio lavoro. Chi puo' biasimarmi? Io no di certo, questo e' il mio mestiere e sono bravo a farlo. E se non io, lo farebbe qualcun altro, La ruota gira sempre.
Ripongo il taccuino della borsa, e mi avvio finalmente verso casa.
 La sera e' sparita.
 Resta solo un enorme, impenetrabile buio.

2 commenti:

  1. Si può essere "informatori" della propria azienda in modi diversi... Complimenti Steve!

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  2. Un lavoro morente fatto da zombi. Questo é ciò che ha narrato Stefano. Credo che molti informatori del farmaco (non le "human war machine" che ogni tanto si incontravano) si siano sentiti, in qualche occasione, non-morti borsa-portanti.

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