sabato 28 febbraio 2015

Medio(cre?)

by Robo

Un uomo mediamente realizzato. Partito da un'infanzia felice, pregna di amore ed attenzioni genitoriali, si era avventurato in un'adolescenza che lo aveva sorpreso per durezza, con strascichi anche nella successiva età, la gioventù. 
Uscirne non era stato affatto semplice ma l'età adulta gli aveva dato l'opportunità di leccarsi le ferite, di riprendersi, di ricostruirsi. Poi erano venute in suo soccorso le sicurezze di un rapporto affettivo stabile.
A quel punto le fragilità della prima giovinezza erano come scomparse, si erano ritirate in angoli bui della memoria. Sfumate come vissute da un'altre persona. Il lavoro, nei suoi alti e bassi, era divenuto il centro della sua esistenza. Le alterne fortune non gli avevano più intaccato l'autostima come sarebbe accaduto in gioventù, trovava nella consorte un porto sicuro che gli consentiva di recuperare le forze e riprendere il mare dell'attività.

Il sicomoro Candeliere - Silver Lake (Los Angeles)
Pensò ai figli ma era troppo egoista. Gli pareva che la vita fosse già troppo complicata ed ora che aveva raggiunto un equilibrio non voleva perderlo, non voleva neppure correre il rischio.
Quindi lavoro, moglie, genitori, lavoro, moglie, genitori...  Poche amicizie, quasi di circostanza. Col tempo il suo pragmatismo era divenuto pervasivo e intrattenere troppi rapporti oltre lo stretto necessario era divenuta un'inutile complicazione, quasi uno spreco di tempo, di energie. Una vita solitaria arricchita solo da dialoghi domestici, da visione di materiale audio-video di facile fruibilità, da letture non troppo specialistiche.

Qualche ospite non umano era saltuariamente ben accetto: l'impegno richiesto per l'accudimento era compensato dall'affettività facile e immediata, senza circonvolute necessità di comprensione o altro. Morivano certo, sostituiti da altri simili; col tempo il passaggio diveniva sempre più indolore, quasi un continuum a quattro zampe con piccole differenze nei colori del mantello. Ma il mondo cammina e anche se pare che nulla cambi sotto la superficie i mutamenti avvengono eccome. 
E così nella sua sesta decade il placido scorrere della vita incontró alcune cateratte. 
Prima il padre, ormai molto anziano, e poi la madre lo salutarono. I pilastri della sua esistenza cominciavano a sfaldarsi. 

Allora si sentì un po' perso, e per un attimo gli parve di farsi nuovamente ghermire dalle antiche insicurezze che rifacevano capolino dopo un sonno più che trentennale, risvegliate, rinvigorite. 
Reagì e funzionò, per un po'. Verso la fine della decade gli toccò pure andare in pensione. Il lavoro era sempre stato motivo di apprensione più che fonte di soddisfazione ma, nel tempo, la sua usuale preoccupazione per il risultato, si era affievolita, diluita nella evidenza di un livello medio di competenza, di un livello medio di raggiungimento di obiettivi, di un livello medio di soddisfazione dei vertici aziendali. Insomma la certezza del livello medio, comprovata da lustri di risultati, lo aveva tranquillizzato. 
Alla fine l'impegno lavorativo ne era, a sorpresa, scaturito come una fonte di guadagno netto nella sua economia mentale. 
Ora perdeva anche quello. 
Si attaccò allora con tutte le forze all'unico punto di riferimento che gli era rimasto, la moglie. Ma gli anni passano e se il desiderio era invecchiato da tempo (senza che questo gli fosse costato alcunché) quando rivolse la totalità della propria attenzione alla coniuge, e non l'usuale terzo quasi matematico che le aveva sempre concesso, si accorse che non bastava a farlo sentire realizzato come tanto tempo prima. 
Lui non era più esattamente lo stesso, lei non era più esattamente la stessa. Ne ebbe, per la prima volta, la lucida percezione. Ma essendo rimasta l'unica colonna della sua esistenza e, sentendo sobbollire in profondità percezioni di profonda inadeguatezza, fece ogni sforzo per fare della colonna residua il pilastro ultimo e perfetto della propria vita.

Ci era quasi riuscito quando anche il "pilastro ultimo e perfetto" prese commiato dall'esistenza. E fu solo, solo con se stesso. 

Si guardò dentro e rivide tutte le cose di se che non gli erano mai piaciute, non riusciva più a distogliere lo sguardo nella direzione dell'impegno lavorativo, delle necessità dei genitori, dell'affettuoso tram tram della vita coniugale con i suoi piccoli tradizionali momenti di gratificazione (il rientro serale, la pizza del sabato, le brevi vacanze estive e natalizie). 
Cominciò lentamente a sprofondare nelle sabbie mobili della propria interiorità. 

Una fune gli fu lanciata dal suo medico, anzi più di una. Liane di salvataggio con nomi strani: Xanax per dormire la notte, En per star calmo di giorno, Seropram come salvagente per le sabbie mobili. 
E i giardini pubblici. D'estate, d'inverno e nelle mezze stagioni.
Cominciò ad uscire di casa la mattina, dopo il suo primo contatto giornaliero con la chimica, portando con sé qualcosa da leggere. 
Divenne un'abitudine passare il tempo vicino alle fronde di un grosso albero, sedendosi su una panchina più comoda delle altre. A mezzodì tornava a casa, pranzava, secondo contatto con la chimica e poi di nuovo presso l'albero suo compagno. Fatto sta che il luogo di bivacco da lui scelto era parte di uno spiazzo con altalene, scivoli ed un girotondo ed in ogni stagione veniva invaso da bambini accompagnati da genitori. Tanti in estate e primavera ma qualcuno, adeguatamente imbacuccato, anche nella stagione fredda, persino con una pioggia leggera. 
Persino nelle feste istituzionali, persino durante i mondiali di calcio. 

Cominciò, piano piano ad abbassare il libro sempre più spesso, ad alzarsi ogni tanto per dare un calcio ad un pallone, a salutare i bimbi, ad esserne salutato a propria volta e finì con il giocare con loro. 
Iniziò a pensare che i figli, che lui non aveva mai voluto, non sono solo di chi li fa, sono di tutti, e che tutti abbiamo la responsabilità di accudirli. 
Finì col pensare che abbiamo tutti la responsabilità di costruire un mondo migliore di quello in cui abbiamo vissuto. Per loro.

4 commenti:

  1. Semi futur autobiografico. Per cui quelli che ti riescono meglio. Io pero' sono maniaco dei finali. Forse ho letto troppi gialli. Sono poco orientale in cio', a loro interessano poco. Se posso fare un appunto meramente tecnio e personale, qui manca un finale pregnante. L'ultima parte e' un pensiero non una chiosa. Minuzie intendiamoci, cosi perdire.

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  2. Cmq hai inventato un genere: l'autobiografia futurista

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  3. È sempre un piacere leggerti, apprezzo soprattutto i post dove parli di te, della tua vita, dei tuoi ricordi, dei sogni, delle paure, delle aspettative... Se posso, però, ti consiglierei di scrivere in modo più "leggero". Crei delle belle immagini, ma certi vocaboli, troppo aulici o antiquati, fanno inciampare la lettura e tolgono attenzione al racconto, al flusso dei pensieri. Con affetto.

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  4. Ah, grazie. Io vado a braccio e forse ho un gusto compiaciuto nell'uso di immagini un po' cerebrali e talora traslo termini dai miei campi di interesse. Per quanto riguarda il futuro spero di non essere stato profetico per quanto mi riguarda, anzi direi che ho scritto 'sta cosa come per esorcizzare un domani che non vorrei. Comunque se uno si mette a scavare nei propri meandri trova proprio di tutto.

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