In attesa della cena di classe della Sezione D
Trenta anni dopo
Memorie dalle retrovie #2: La Campestre
Il professore pazzo ci chiama: "tu e tu, farete la campestre". I "tu e tu" siamo io e Giovanni.
A me onestamente non andrebbe affatto ed ho il sospetto, anzi la quasi certezza, che mi sia toccata st'incombenza perché altri della classe, certamente più sportivi di me, hanno declinato.
Ma rispondere no, per me, é un problema e non riesco ad oppormi alla volontà del prof che mi nomina "volontario per la campestre del campetto".
E Giovanni? Giovanni è sempre calmo e tranquillo come fosse portatore di un buddismo congenito e fa un sorriso che il professore pazzo individua immediatamente come un sì.
É deciso, Versari e Rondoni correranno per la sezione D. Madonna...
"Professore...", arrischio, "io non sono allenato, non gioco a calcio". "Eh ma adesso ci pensiamo noi ad allenarvi! Farete dei giri di pista durante l'ora di ginnastica".
Allora mi giro verso Giovanni come a cercare aiuto ed argomenti ma lui ha un sorrisetto da Monna Lisa stampato sul viso e non dice nulla. Vabbè, non si scappa, faremo anche questa, speriamo solo sia cosa rapida.
Lo sport non lo pratico e confrontarmi con gli altri non mi piace, so di essere un brocco e mi vergogno anche un po' ad espormi. Pensare di correre in mezzo a tutti i miei compagni che mi guardano arrivare ultimo mi da fastidio. Già mi sto preoccupando. Giovanni no, o almeno non ne dà sentore.
Durante le ore di ginnastica dei giorni successivi entrambi iniziamo la preparazione atletica (see... preparazione... non ne abbiamo un'idea... e neanche il professore pazzo ce l'ha).
Cominciamo dunque a correre attorno alla pista. Io ho dei pantaloncini da ginnastica, lui una tuta scura integrale, una mise molto più seria ed elegante. A velocità costante corre meglio di me, io mi stanco subito e devo fermarmi spesso. Va bene, ho capito: sono una chiavica.
E così, mentre Giovanni corre, corre bene e si allena, io comincio a saltare le sessioni.
Un po' lo guardo, un po' me ne vado, poi torno: Giovanni corre ancora. "Ma non si ferma più!?".
Sono combattuto. Nel mio cervelletto da adolescente due attori cominciano a discorrere: il primo lo chiamiamo PaDiFUFiDeC (paura-di-fare-una-figura-del-cazzo), il secondo NoNehoVoPerUnC (non-ne-ho-voglia-per-un-cazzo).
Parte Padifufidec:
"ma cosa fai? Non ti alleni più? Ma lo sai quanta gente c'è a guardare? Lo sai che sei scarso. Datti una mossa!".
Risponde Nonehovoperunc:
"ma che due coglioni... Non é varato. Non si puó allenare per 10 giorni e correre come gli altri!".
Ma Padifufidec non molla:
"oh scemo! Provaci. Guarda Giovanni. Lui ci crede".
"Eh... ci crede, ma Roberto no, Non ha mai creduto nello sport, mica è una religione... e poi é agnato... agnocasto... o come si dice!" risponde Nonehovoperunc.
"Si dice agnostico, mamma mia...", e con questo Padifufidec alza le braccia, si arrende ed io con lui, la disputa la vince l'altro: arriveró il giorno della campestre senza, o quasi, allenamento.
Ora zero del "D day" (D per via della sezione che rappresento), sveglia... Oh mamma! C'é la campestre stamane. Mayday! Mayday! I sensori di prossimità allertano di avvicinamento a figura di merda... rischio collisione imminente! Mayday! Madonna...
Mi alzo faticosamente e incontro il buon umore di mia madre che stamane mi é particolarmente fastidioso. Lei é allegra: "per la corsa ti ho preparato l'intruglio proteico!", afferma tutta arzilla. "No mamma! Mi resterà nello stomaco. É pesantissimo!" urlo, "è cattivissimo..." penso.
Dovete sapere che mia madre ogni tanto si diletta con mischioni di sua creazione per aumentare l'autonomia della colazione e li testa su di me: l'intruglio proteico, così da lei battezzato non senza ironia, rappresenta l'acme di questi tentativi. Non so bene cosa ci sia dentro oltre al latte e caffè e zucchero ma certamente uova, forse ovomaltina e mi pare pure Nesquik. Credo anche ci sia lo stesso ingrediente X che c'è nello scudo di Capitan America e che gli conferisce un certo retrogusto metallico.
Io, solitamente, al risveglio raggiungo picchi di rincoglionimento che mi permettono di tracannare l'intruglio proteico (sorseggiarlo è impossibile) ma stamane la paura mi tiene sveglio e l'operazione é più complicata del solito. "Bravo", dice la genitrice, "vedrai che andrai bene". Seee... bene...
A scuola non ci sono, o meglio ci sono fisicamente ma non con la testa. Non aiuta la mappazza di colazione che, per essere digerita, necessita della compartecipazione di tutti gli altri organi del corpo, perché da solo, lo stomaco, non ce la fa. Il cervello da un importante contributo privandosi di una quota non irrilevante del suo sangue e ciò ovviamente non giova alla lucidità nei rapporti sociali. Quindi sfumo e sono già alla partenza.Cuore a mille, "bum-bum-bum-bum-bum-bum-bum", se avessi un cardiofrequenzimetro lo manderei fuori scala, non per lo sforzo sopra soglia, ma per la fifa che mi attanaglia.
Penso: "manteniamo un po' di forze per il secondo giro, lo faranno anche gli altri, immagino". E invece no, immagino male, partono tutti come se corressimo i 100 metri olimpici e, dopo poco, sono ultimo con distacco. Non sono allenato, non sono varato, ma corro, corro ormai per non restare solo.
Il primo giro lo concludo comunque ultimo: sono tutti innanzi a me, anche quelli piccoli, quelli che sono proprio dei bambini. Evidentemente, però, il debito di ossigeno mi giova e anche se sono già morto non mollo.
Poco a poco comincio a recuperare bambinetti imprudenti, i bravi, è ovvio, sono già lontani ma questi sorpassi mi danno morale, o qualcosa che assomiglia al morale dato che sono così fuori di me dalla fatica che anche le emozioni arrivano annebbiate.
Tengo botta e forse l'intruglio proteico mi sta pompando qualcosa nei muscoli, perché anche se il mondo è un'indistinto verdastro e la colonna sonora è il mio assordante respiro, ciononostante vado, vado avanti.
Percorsi due terzi dell'ultimo giro si avvicina una macchia scura: è Giovanni! Il suo ritmo costante é troppo lento per una distanza così breve; mi avvicino a lui... mi avvicino ancora... lo appaio e infine lo passo. Vittoria! Vittoria! Taglio il traguardo prima di lui.
Mi accascio al suolo e ci metto 10 minuti per riprendermi, ma sono felice.
Il primo é già giunto da tempo, ma lui è uno figo che correva per vincere, io uno sfigato che correva per non arrivare ultimo.
Il giorno dopo vengono esposti i risultati della corsa campestre. Vado lì per godermi la mia personale piccola vittoria. "Evvai!"
Insomma... evvai mica tanto. Scopro che la suddivisione della classifica per categorie d'età annacqua la mia impresa: terz'ultimo del triennio, dietro me solo Giovanni ed una sconosciuta maglia nera.
Ma qualcuno l'ho comunque preceduto e me lo faccio bastare, anche se non sono riuscito ad evitare il podio dei più scarsi e questo, un po', mi tira. E Giovanni? Non pare poi interessargli molto il risultato. Lui arriverà tra i primi nella musica.
(Roberto)
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